Gianluca Mager, dopo la prima finale Atp in carriera, a Rio de Janeiro, ha parlato per la prima volta ai microfoni. Col risultato raggiunto in Brasile, si è peraltro stabilizzato in Top 100, issandosi alla 79esima posizione mondiale. Un’ascesa premiata anche da Corrado Barazzutti, e da un pizzico di fortuna. Con Matteo Berrettini ancora ai box, il sanremese sarà il secondo singolarista nella sfida di Coppa Davis contro la Corea del Sud. Eppure, non dimentica le difficilissime tappe iniziali della sua carriera. Problematiche dal punto di vista economico, dunque anche logistico, con la necessità di organizzarsi al meglio con mezzi e possibilità lontane da quelle dei top player. Una storia che ci riporta sulla complicatissima questione dei prize money e delle differenze tra un tennista di primo livello e uno che, per citare Mager “si porta dietro il fornelletto per mangiare”.
Piuttosto tardi, confessa Mager, ha capito di voler fare del tennis la sua vita: “Fino a 17 anni e mezzo avevo altre priorità. Facevo tardi la sera, poi un bel giorno ho deciso di dedicarmici seriamente“. Un cammino lungo quindi otto anni oramai, dai Futures e gli allenamenti con Diego Narigso alla finale di Rio e la Davis. “I Challenger sono un inferno in cui tutti vogliono vincere”, conferma, “Nargiso si è proposto di allenarmi dopo avermi visto ad Alassio”. Un inferno in cui si sono arenati tantissimi giocatori. Tra i talentuosi anche quelli estenuati dai continui spostamenti e da una predisposizione all’impegno inferiore ai mezzi tecnici. Un tipo di circuito, quello dei Challenger, che non sempre aiuta coloro che non ottengono risultati a breve termine. Che poco spazio concede alle titubanze, sia mentali che, appunto, nel percorso di crescita dal punto di vista tecnico. Col portafoglio che, quando va in negativo alle prime difficoltà, non lascia esprimere i tennisti al meglio. Non permette loro di pensare, in primis, al campo.
Servono sacrifici a cui non tutti possono essere pronti, ma col senno di poi, Mager è stato ripagato dopo un inizio travagliato: “Per 7/8 anni prendevo l’autobus al mattino presto da Sanremo per Ventimiglia, poi il treno da Ventimiglia”. Ma da circa un anno, nei Challenger, Gianluca Mager sembra a suo agio. Quasi due anni fa, a Milano, la sua prima finale, persa da Laslo Djere. Ma tra gennaio e settembre dello scorso anno anche tre titoli su altrettante finali. Una crescita esponenziale che si lega a quella dell’intero movimento tennistico in Italia. La rinnovata abbondanza di connazionali tra i migliori del mondo è uno straordinario stimolo: “Se uno di noi centra un buon risultato, diventa ispirazione per gli altri, che cercano di andargli dietro”. E la radice, nonostante le recenti dolorose sconfitte, è chiarissima per tutti: “Mi ha spronato vedere quanto ha fatto Cecchinato. La sua semifinale a Parigi è la dimostrazione che nulla è impossibile”.
Le grandi gioie di Mager possono essere un impulso non solo per gli altri azzurri, ma anche per tutti quelli che, a 25 anni come lui, ancora navigano in paludi scomodissime. Allo stesso modo però spinge coloro che non vivono il campo in prima persona a rivalutare con più attenzione tutto il circuito. “Si conoscono spesso solo Federer, Nadal e Djokovic, ma non i ragazzi che fanno il massimo in tornei dove ci sono pochi euro in palio. E non tutti riescono a raggiungere qualcosa di importante”, chiarisce l’azzurro. Mager, per fortuna, ci è riuscito, e per qualche mese almeno avrà l’opportunità di lottare nell’élite del tennis mondiale. La finale nell’Atp 500 di Rio l’ha lanciato dalla 128esima alle 77esima posizione (79esima questa settimana) del ranking mondiale. Un risultato che probabilmente gli garantirà la possibilità di ricevere anche inviti prestigiosi sulla terra rossa europea, evitando di dover passare dalle qualificazioni. La sua parabola, è l’attuale dimostrazione delle differenze economiche tra il circuito principale e quello dei Challenger. Del suo prize money totale di 216.729 dollari, più di tre quarti (178 mila), vengono dalla finale brasiliana, che ha cambiato obiettivamente l’intera prospettiva del suo 2019. Basti pensare che la somma dei tre Challenger vinti tra Koblenz, Biella e Barletta, ha portato a Mager “solamente” poco meno di 20mila euro, meno di un ottavo della finale di Rio de Janeiro. Cifre che riportano alla mente le parole di Noah Rubin, che già questa estate ha posto l’accento sulle differenti condizioni di vita tra i tennisti del circuito Challenger/Itf e quelli che hanno partecipato all’ultima edizione record degli Us Open, che per tutti i partecipanti ha messo a disposizione più di 57 milioni di dollari. Se davvero le storie come quelle di Gianluca Mager sono il bello del tennis, con un’ascesa dai Futures alla prima finale Atp, pure in età non esattamente precoce, una migliore distribuzione dei montepremi, potrebbe creare esperienze molto simili a quella del ligure. Mettere in luce nuovi volti e rendere ancor più incerto, ma non per questo meno interessante, il circuito Atp.