Matteo Berrettini ha ventuno anni. Nella sua breve vita è stato già costretto ad affrontare degli avvenimenti che lo hanno portato a maturare presto, molto prima dei suoi coetanei. Uno su tutti, l’infortunio al piatto tibiale del ginocchio che lo ha tenuto lontano dai campi da gennaio ad agosto 2016: in quel periodo, Matteo, grazie anche al suo allenatore Vincenzo Santopadre, è riuscito a non farsi abbattere nonostante gli otto mesi di fermo, che per un ragazzo in completa ascesa nel panorama del tennis mondiale non sono di certo positivi. Lo sono stati invece per Berrettini, almeno dal punto di vista mentale; il giovane romano ha coltivato in sé stesso l’idea di poter tornare davvero a competere a grandi livelli e di poter migliorare ancora il suo gioco (iniziando dal servizio, colpo che ha allenato molto nel periodo di stop forzato e che ora è uno dei suoi punti di forza insieme al dritto da fondo campo). Quell’infortunio ha segnato la svolta nella carriera di Matteo, che ha preso coscienza delle sue potenzialità e del fatto che sia sempre controproducente sopravvalutare lo stato di forma del proprio corpo. Un pensiero che ci aspetteremmo da un giocatore navigato, e non certo da un classe ’96 che sta muovendo i primi passi nel mondo ATP (è professionista solo da tre anni).
Nonostante la sua grande voglia e fame di risultati, Matteo, al contrario di altri giocatori di pari classifica (si trova ora al numero 140 del ranking), non ha praticamente mai tentato di qualificarsi a tornei ATP di prima fascia, ma si è quasi sempre dedicato ai challenger (a parte le qualificazioni del 1000 di Roma, attraverso cui ha ottenuto una wild card per il tabellone principale). E’ probabilmente la maturità acquisita che gli ha fatto prendere questa decisione, almeno per questo 2017: Matteo sa di non dover bruciare le tappe e che davanti a sé ha tutto il tempo necessario per entrare nel World Tour dalla porta principale, senza lasciarsi ingolosire da fama e prize money più importanti, che comunque significano anche pressioni e tensioni più elevate. Anche perché è sicuramente cosciente del fatto che qualche altro mese di gavetta tra i tornei minori non è certo controproducente, ma può anzi consentirgli anche di migliorare la sua classifica ATP e permettergli l’accesso diretto ai tornei maggiori.
Matteo Berrettini sa dunque di non avere niente da invidiare a chi gioca in luoghi più blasonati ed ha la sua stessa classifica, ma sono, in alcuni casi, gli altri che hanno da apprendere dal romano la sua umiltà e la sua capacità di aspettare il momento propizio per tuffarsi di testa tra i grandi del circuito. Ovviamente, quel momento dovrà essere accompagnato da una buona dose di coraggio, lo stesso con cui Berrettini si è risollevato dall’infortunio al ginocchio di cui sopra. L’Italia del tennis ha certamente in Matteo una delle più grandi promesse per il futuro, che non è mai stato così presente.