TENNIS – Lo straordinario exploit di Simone Bolelli al torneo ATP250 di Marsiglia, occasione nella quale ha sconfitto Milos Raonic al secondo turno conquistando i quarti di finale, ha dentro di sé molto più di quanto potrebbe sembrare semplicemente guardando una partita di tennis qualsiasi. Un profondo successo che non è stato minimamente rovinato dalla sconfitta, al turno successivo, contro l’ispirato tennista di casa Gael Monfils.
Simone Bolelli, di anni 29, è il classico esempio di chi non ha la minima intenzione di lasciare le cose a metà, nonostante un’ascesa brillante e stupefacente, il blackout post-Pistolesi e l’intervento al polso che lo ha costretto a ripartire da oltre la 300esima posizione nel ranking. Già, perché il buon Simone non si è mai voluto vedere fuori dai primi 300 del mondo a fine anno, riuscendo sempre a rientrare con le unghie e con i denti nel mondo del tennis che conta, quello che gli appartiene di più a dispetto delle dicerie di chi lo ha condannato dopo quella convocazione rifiutata che lo ha allontanato (non per sempre, fortunatamente) da quello status di italiano su cui puntare, in cui credere e di cui essere fieri.
La storia è a portata di tutti, di chi si sente nostalgico e di chi ammette di averlo seguito un po’ così, eppure se la prima vittoria con un Top-10 arriva dopo 29 primavere grazie soprattutto ad un tennis ben disegnato dal suo braccio di veterano, forse qualche nozione in più non guasterebbe.
Il suo gioco è, insieme a quello dell’uomo del momento Luca Vanni, quello meno italiano, fatto di un solido servizio e di un braccio che corre via veloce sul duro tanto trascurato dai tennisti del Bel Paese, e le sue ottime prestazioni sia su cemento che sulla tanto amata erba di Church Road (uno su tutti il match perso alle battute finali dal giapponese Kei Nishikori) lo hanno reso sicuramente uno dei più temuti outsider in assoluto, ovviamente nei periodi in cui il fisico gli ha garantito una condizione accettabile.
E se ci sono gli esperti delle note di demerito, del vorrei ma non posso e del solito elogio del campione mancato, sono sempre di più coloro i quali hanno preso la travagliata storia di Simone e se la sono fatta loro, anche perché le storie come questa non possono fare altro che aiutare a capire il tennis professionistico fin nel suo centro nevralgico, oltre le luci dei riflettori e la stampa (dis)interessata.
Ebbene, per quanto a lungo ci si potrebbe dilungare sul Bolelli nazionale, tra alti e bassi, tra singolare e doppio, il lascito della sua personalissima vittoria passa attraverso quei mesi di riposo, fisioterapia e, soprattutto, rincorsa senza fine partendo da dove le telecamere neanche si scomodano ad arrivare, perché se il solo passo indietro verso un Challenger regala a tanti un pretesto per scagliare le solite pietre, per un giocatore in difficoltà rappresenta una doppia, forse tripla fatica, di tornare a lavorare con umiltà, mattoncino dopo mattoncino, per arrivare, chissà, a giocarsela con il N.6 del mondo. Magari batterlo e tornare Top50. Già.