TC intervista Roberto Commentucci

Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Roberto Commentucci dirigente della Fit il quale ci ha raccontato i particolari del suo incarico e di cosa si occupa in federazione. Roberto è un vero e proprio vulcano di idee.

Sua è l’idea del progetto campi veloci per abituare i nostri giovani a giocare su campi diversi dalla terra battuta sui quali si svolge il 75% dei tornei internazionali.

Ci spiega l’evoluzione e i risultati del progetto. Non solo è dirigente della Federazione, Roberto ha scritto anche un libro su Sara Errani intitolato Excalibur uscito nel luglio 2014. La pubblicazione ha avuto uno strepitoso successo, Roberto era partito solo per scrivere la prefazione per poi realizzare interamente l’opera il cui ricavato è stato devoluto in beneficienza.

Tutta questa serie di attività costituiscono per Roberto solo una passione che deve affiancare alla professione ed alla famiglia e per questo gli facciamo i complimenti.

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Ci indica quali sono, secondo il Suo parere, i giovani più promettenti, prima su tutti Federica Rossi una possibile futura campionessa.

Ciao Roberto grazie per accettato l’invito. Parlaci del tuo primo incontro con il mondo del tennis.

E’ un ricordo molto vivo, ed estremamente bello. Un amico regalò a mio padre due biglietti per la finale degli Internazionali d’Italia del 1978, quella storica in cui Borg battè Panatta in 5 bellissimi set. Io avevo 12 anni e giocavo a calcio, facevo il portiere in una squadretta di quartiere: non sapevo quasi nulla del tennis, ma quel giorno me ne innamorai perdutamente.

Sappiamo che ricopri la carica di dirigente federale. Di cosa ti occupi in particolare?

In qualità di dirigente dilettante mi occupo principalmente degli aspetti organizzativi del Settore Giovanile, del Settore Tecnico e dell’Istituto Superiore di Formazione “Roberto Lombardi”. Occasionalmente do una mano con qualche articolo alla funzione di Comunicazione, sempre per gli aspetti connessi con il funzionamento del Settore Tecnico e della crescita dei giovani. Poi mi sono occupato a lungo di impiantistica, delle problematiche relative ai campi coperti e del “Progetto Campi Veloci”. Porto nel tennis l’approccio metodologico del mio lavoro. Mi occupo di economia, di mercati finanziari e di organizzazione aziendale. Purtroppo il mio lavoro non mi lascia molto tempo per la Federazione, ma cerco di sopperire con la passione e l’impegno.

Abbiamo visto su Supertennis lo spot sul progetto campi veloci. Raccontaci chi ha avuto l’idea e gli sviluppi che ha avuto.

Beh, posso dire che l’idea è stata tutta mia, e risale a 5 anni fa, al 2010. Mi piace girare per i tornei future e challenger e all’epoca, parlando con molti nostri allenatori, tra cui Fabio Rizzo, Fabrizio Fanucci, Umberto Rianna e Renzo Furlan, emerse la problematica relativa ai colpi di inizio gioco e in generale della scarsa attitudine al veloce di molti nostri giocatori. Allora feci una piccola ricerca empirica e venne fuori che l’attività agonistica e di allenamento dei nostri giovani era molto più sbilanciata verso la terra battuta non solo rispetto alla Francia, alla Repubblica Ceka o alla Germania, ma anche rispetto alla Spagna. Osservando i dati relativi alla distribuzione dei tornei organizzati per superficie in ciascun paese, venne fuori che un giovane spagnolo nel suo percorso di crescita gareggiava sul veloce 3 volte più spesso di un italiano. Allora presi la mia analisi, la portai dal Presidente Binaghi, e gli proposi di lanciare il progetto, con cui vogliamo incentivare i Circoli a installare campi veloci. Contemporaneamente, con Michelangelo Delledera abbiamo rivisto i corsi per maestri e per tecnici, dando più importanza ai colpi di inizio gioco e agli altri accorgimenti che servono per giocare bene sul veloce. Perché non serve avere i campi veloci, se non hai maestri che ne conoscono i segreti.

Il famoso luogo comune che i campi veloci creano più traumi è stato smentito dal fatto che i produttori di superfici di ultima generazione hanno creato il famoso “cushion”. Ce ne vuoi parlare?

Su questo punto ho sentito medici di fama mondiale, tra cui l’ortopedico Giovanni Di Giacomo, che è il medico ufficiale per l’Europa di Atp e Wta. I messaggi sono pienamente rassicuranti. Non è il veloce in sé a causare traumi, ma l’utilizzo di una tecnica di spostamento non corretta. Per questo abbiamo inserito nei programmi dei corsi per maestri tenuti dall’Istituto di Formazione lavori specifici per i bambini, perché queste cose si devono imparare molto presto. Acquisire una tecnica di spostamento corretta è il modo migliore per evitare infortuni. Il Progetto a mio parere è stato un grande successo. Negli ultimi 5 anni abbiamo installato in Italia circa 450 nuovi campi veloci, nonostante la durissima crisi economica. Ma soprattutto, è stata importante la comunicazione sul progetto e il dibattito che ne è seguito, anche fra i maestri, i genitori dei giovani agonisti e in generale gli addetti ai lavori. Adesso i nostri giovani e loro staff sono più sensibili alla problematica della specializzazione terraiola, lavorano molto di più sui colpi di inizio gioco e giocano più tornei sul veloce. Basta vedere i tabelloni di futures e challenger di questa settimana, con i nostri Cecchinato, Donati, Napolitano, Eremin, Berrettini… tutti a giocare e vincere match sul veloce. E finalmente, si tratta di ragazzi che sanno servire bene! Insomma, la cosa più importante è che stiamo cambiando la mentalità.

Arriviamo a Excalibur, il tuo libro pubblicato lo scorso anno su Sara Errani, che ha avuto molto successo. Secondo te quale è stato il segreto?

Non credo ci siano segreti: è la storia in se che è affascinante. Una giocatrice “normale”, destinata a una onesta carriera di medio livello, non più giovanissima, cambia casualmente racchetta e click! Diventa una campionessa. E’ il sogno di tutti i giocatori, anche di quelli di club.

Inizialmente la famiglia Errani ti aveva chiesto solo di realizzare il commento di un book fotografico… e ne è venuto fuori un libro vero e proprio. La cosa ti ha inorgoglito? Spiegaci le sensazioni che hai provato durante la stesura del libro.

Non pensavamo di fare un libro. Ma a mano a mano che andavamo avanti il materiale che stava venendo fuori ci sembrava molto valido, e Giorgio Errani a un certo punto mi chiese: “ma a te ti secca se io lo porto a Mondadori?” E alla fine abbiamo venduto 10.000 copie. Ovviamente sono stato contento, il libro mi ha assorbito molto. Ma il merito del successo è principalmente di Sara, che è una grande giocatrice e una ragazza straordinaria, e poi di suo fratello Davide, che ha curato splendidamente la grafica e l’impaginazione. Il fatto che i proventi siano andati in beneficienza, poi, la dice lunga su di loro come persone.

Visto il 2015 negativo di Fed e Davis: da cosa dipende secondo te?

Non possiamo negare che si è trattato di due sconfitte brucianti, entrambe di misura, e dopo essere stati in vantaggio. Detto questo, aspetterei un attimo a fare processi, parlare di ciclo finito per le nostre ragazze, o crocifiggere i nostri ragazzi. La verità è che avevamo di fronte due squadre forti (la Francia secondo me ha un grande futuro) e i capitani avversari hanno indovinato delle mosse a sorpresa, con bravura, ma anche con una certa dose di fortuna. A Genova, ad esempio, poteva benissimo succedere che la Mladenovic, buttata in campo a sorpresa, non prendesse il campo, cosa che spesso nei tornei le capita. E adesso non staremmo qui a incensare la Mauresmo. Ha rischiato, è stata premiata. Brava lei. Comunque i nostri giocatori hanno lottato fino all’ultimo e anche nella sconfitta hanno confermato di avere qualità importanti. Ci rifaremo.

Tra i giovani tennisti italiani chi giudichi più promettente sia in campo maschile che femminile?

In questo momento la situazione è piuttosto particolare. Una decina di anni fa nel maschile avevamo praticamente solo due giovani promettenti: Bolelli e Fognini, mentre tra le ragazze la base era più ampia. Adesso abbiamo forse delle “punte” meno eclatanti, ma in compenso ci ritroviamo con una rosa molto ampia di ragazzi di ottime qualità, sia tra i maschi, sia tra le femmine: oltre a Quinzi, abbiamo Cecchinato, Travaglia, Gaio, Donati, Napolitano, Baldi, Mager, Basso, Eremin, Sonego, Berrettini, Moroni, Ramazzotti, Pellegrino e altri ancora. Tra le ragazze, se possibile ne abbiamo ancora di più; Barbieri, Burnett (che sta per tornare alle gare), Caregaro, Martina Trevisan, Moratelli, Matteucci, Paolini, Rosatello, Ferrando, le sorelle Pieri, le sorelle Turati, Samsonova, la giovanissima Bilardo… Un autentico esercito, e la Federazione li può supportare e aiutare tutti, in un modo o nell’altro. Se proprio devo fare due nomi secchi, dico Donati e Samsonova. Solo che dobbiamo avere ancora un po’ di pazienza: l’età media di ingresso nel professionismo si è alzata moltissimo, e gli italiani, come sappiamo, di loro tendono a maturare più tardi. E infine, ti do una chicca per gli appassionati. Abbiamo una ragazza del 2001 che può diventare fortissima: si chiama Federica Rossi, e viene da Sondrio. Gioca un tennis splendido.

Si è parlato del progetto di eliminare la seconda palla di servizio cosa ne pensi?

Tutto il male possibile. Secondo me l’unico intervento che andrebbe fatto per tutelare la spettacolarità del tennis sarebbe semplicissimo: limitare a 85 pollici quadrati l’ovale delle racchette agonistiche, a tutti i livelli, da 4.6 al circuito pro. Così si premierebbe maggiormente il talento a scapito del muscolo, e torneremmo ad avere giocatori diversi e meno omologati nelle caratteristiche di gioco Ma non lo faranno mai, gli interessi economici sono troppo forti.

Una domanda più ludica sei un giocatore e a che livelli sei?

Ho iniziato piuttosto tardi, come ti dicevo giocavo a calcio. Sono un tennista appassionato ma molto modesto, diciamo che sono a cavallo fra la terza e la quarta categoria. Ma più 4.1 che 3.5.

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