Un passo a due per Camila Giorgi

Alcune considerazioni sulla scelta di Camila Giorgi di ritornare a giocare il doppio, agli Us Open, in coppia con Mandy Minella. Eppure, pochi mesi fa aveva giurato di non farlo mai più: "io sto bene da sola". Il doppio ci sarà nel futuro di una combattente solitaria come Camila?

Il doppio non lo giocherò mai più. Anzi, no. E’ spuntata un paio di giorni fa la notizia che Camila Giorgi, pochi mesi dopo aver dichiarato più o meno di odiarlo come la peste, ha scelto Mandy Minella come prossima compagna nel torneo femminile di doppio dell’ultimo Slam dell’anno, gli Us Open. Una coppia che non sfigurerebbe in fila indiana lungo la passerella di una sfilata di moda, ma che per il resto desta qualche perplessità. Di Camila tutto sappiamo e qualcosa diremo, ma prima è bene spendere qualche parola sull’altra pulzella.
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L’avvenente Mandy, nome e viso da fatina buona delle fiabe, è nata nel 1985, nel piccolo stato del Lussemburgo da genitori italiani, Mario e Anna Minella, che l’hanno avviata al tennis all’età di 5 anni. E’ inutile dire che è l’attuale più forte tennista del suo paese, appena mezzo milione di abitanti ma che ha dato i natali a buoni tennisti come Gilles Müller (quarti di finale agli Us Open nel 2008) e Anne Kremer, che vanta un best ranking alla diciottesima posizione raggiunto nel 2002. Mandy è una tennista completa, sa fare bene un po’ tutto: onesto servizio, rovescio bimane solido e qualche variazione in back e un potente dritto, il suo colpo migliore. Non sfigura a rete, dove qualche volta tenta ardimentose incursioni per chiudere con grido da amazzone invasata. In singolare non si è mai spinta oltre la 66esima posizione del ranking e negli Slam vanta due terzi turni raggiunti a New York nel 2010 e 2012. Un po’ meglio in doppio: lo scorso anno ha vinto i titoli terraioli di Bogotà e Marrakech, in coppia con la ventunenne ungherese Timea Babos, mentre ha perso in finale nel torneo di Hobart (sempre con la Babos), a Tashkent (con la Govortsova) e Bogotà (con la Voegele). Negli Slam non si è spinta mai oltre il secondo turno: peggio che il singolare. Insomma, se come tennis Mandy è sanza ‘nfamia e sanza lodo, sono le sue doti estetiche che hanno inturgidito cuori e altri muscoli di diversi appassionati, che la guardano sempre con piacere. Tanto che se digiti su Youtube il suo nome, il secondo risultato che ti appare è un video che mostra oltre 7 minuti della Minella nelle pause di un match: mentre serve, mentre scruta la racchetta, mentre si asciuga il sudore, mentre impreca. Mai mentre gioca (le scene del match sono state accuratamente tagliate dall’aspirante montatore), e questo qualcosa vorrà dire. Anyway.

Finalmente, arriviamo a Camila. Che il doppio lo sapesse giocare, ce ne eravamo accorti quest’anno: lo scorso aprile, in coppia con Karin Knapp, aveva perso per un soffio (6-2 5-7 11-9) contro le esperte Hlavackova e Koukalova nella semifinale di Fed Cup persa contro la Repubblica Ceca. Un mese più tardi era tornata in campo agli Internazionali d’Italia, sempre con la Knapp, dove era stata sconfitta al primo turno – sempre per pochissimo – dalle carneadi Jurak-Moulton-Levy. Per essere una che non gioca mai in coppia, Camila aveva dimostrato di poter avere qualità e grandi margini di miglioramento in questa categoria: eccellente mobilità, una buona visione del gioco e destrezza a rete.

c12c0783b89f9d4eb699610eb78aa4c8_mediagallery-pageIl doppio è sembrato fin da subito un grande aiuto per il tennis di Camila, al di là dell’ulteriore affinamento delle capacità volleatorie, nelle quali ha già fatto notevoli progressi in questi ultimi mesi di lavoro a Tirrenia. In primis, è un incentivo ad essere più tattica e meno incosciente nel suo gioco, a scoprire l’utilità del colpo interlocutorio – necessario in questa categoria – così rifuggito nei suoi match di singolare. Negli sport in coppia emergono poi dinamiche e situazioni mentali completamente diverse da quelli individuali, in primis la responsabilità non solo per sé ma anche per il proprio compagno di squadra. In singolo non bisogna rispondere a nessuno fuorché a sé stessi, avendo su di sé la completa gestione del proprio rettangolo d’azione e si può giocare, e sbagliare, senza alcun peso sulla coscienza. Ed è proprio questo il tennis che piace a lei: significative sono le sue parole dette a mò di sentenza il giorno dopo la sconfitta a Roma insieme alla Knapp: ”ieri sera ho giocato un doppio che non volevo giocare. E infatti non lo farò più. E’ un altro sport e non è fatto per me; io voglio stare da sola in campo”.

Camila è, del resto, l’emblema più perfetto della sconfinata ed egoistica libertà che garantisce il singolo: durante il gioco questa biondina di poche parole si trasforma in un’entità superomistica – faustiana, addirittura – che, trainata dall’incoscienza, pretende sin dall’inizio di avere l’assoluto dominio di ogni punto e chiuderlo per prima, con il vincente o con l’errore. Il tennis di Camila è un’altalena psicotica tra il tutto e il niente, la prodezza e lo sbaglio, la vittoria e la sconfitta, senza alcuna via di mezzo. Una scelta divisa tra il genio e la scelleratezza, quella di Camila, che mai sarebbe applicabile al doppio, dove ogni tuo errore è un danno a chi ti sta di fianco, che da te dipende nella dinamica di ogni punto. Il gioco di squadra, non a caso così rifuggito da individualiste come Maria Sharapova, potrebbe fornire a Camila una lezione di umiltà, di senso di misura ed abituarla alla capacità di soffrire in campo, cose che potrebbero colmare quell’ultimo gap – tattico e mentale, più che tecnico – che ancora la separano dal grande risultato.

Per questo siamo felici del ripensamento di Camila. Un po’ meno, ripetiamo, per la scelta della compagna di doppio. Mandy non è né una veterana doppista capace di insegnarle i trucchi del mestiere accogliendola sotto la sua ala, né una giovane coetanea di belle speranze e la stessa sete di vittorie con la quale avrebbe potuto condividere l’onda dell’entusiasmo. E’ difficile sognare che queste due ragazze facciano coppia fissa a lungo in futuro e vincano dei titoli, anche se nello strano zoo del doppio femminile c’è trippa per tutte; ed è difficile capire quanto concreto sia ora l’interesse di Giorgi per il doppio, e qui sono partite le solite supposizioni da Bar Sport. Uno, la scelta di Mandy Minella è una semioperazione commerciale (ossia: mi intasco i 14.000 $ del primo turno di doppio, faccio parte della coppia più bella del torneo e scambio pure qualche palleggio): poco probabile. Secondo, Mandy era semplicemente quella più a portata di mano, un’onesta giocatrice, direi anche simpatica, con la quale provare questa nuova avventura senza molte aspettative, libera di smettere quando voglio e ritornare a ballare da sola, al massimo in un valzer con papà: molto più realistico.

Solo il tempo ci dirà se Camila sarà l’autrice di un nuovo capitolo nell’ormai gloriosa storia del doppio femminile italiano. La maceratese quest’anno è maturata tantissimo in singolare: best ranking (n. 37), prima finale raggiunta a Katowice – persa per un paio di punti contro Alize Cornet – e gli scalpi di top-player come Victoria Azarenka e Maria Sharapova. Certo, quello che manca da tempo è il grande risultato in uno Slam. Flushing Meadows potrebbe essere la volta buona: su questi campi l’anno scorso aveva raggiunto gli ottavi di finale battendo Caroline Wozniacki dopo aver superato le qualificazioni. Fu in quell’occasione, più che a Wimbledon 2013, che il mondo si accorse di questa nuova stella intrepida che forse, tra le luci di New York, potrebbe sprigionare tutto il suo lucente ardore.

(Articolo pubblicato per Tennis.it)

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