Cercheremo oggi di immergerci in un parallelismo tanto anomalo quanto intrigante, tra due giocatrici appartenenti a due decenni immediatamente successivi, simili sotto alcuni aspetti ma totalmente in contrasto su altri. Le giocatrici in esame sono litalo/argentina Gabriela Sabatini e la francese Amelie Mauresmo.
Gabriela, bella, irriverente, sensuale, caparbia e talvolta cupa, come se un muro la dividesse dal mondo esterno; Amèlie mascolina, fragile, ironica e solare. Accomunate da un celestiale rovescio ad una mano, prevalentemente in back-spin per la Sabatini ed in top per la Mauresmo, una rarità in campo femminile, si sono fatte strada tra le grandi, adattandosi perfettamente a tutte le superfici e più in generale a tutte le condizioni di gioco.
La Sabatini, quando entrò nel circuito dei professionisti alla giovane età di 14 anni, per trascorrervi i dodici anni seguenti, ha vissuto una carriera breve ma intensa, tra splendidi hotel a cinque stelle e memorabili vittorie sul campo. Allora però non c’ erano amici né pranzetti in città straniere da godersi. Sprecare un’ ora per i piaceri estranei al tennis, era un lusso impensabile. Nel 1996, quando la Sabatini diede l’ annuncio del suo ritiro dal tennis al Madison Square Garden di New York, molti sospettarono che sarebbe tornata. Di sicuro, a 26 anni, la ex numero tre, che aveva guadagnato 9 milioni netti di dollari di premi in denaro, vinto 27 titoli nel singolo tra cui gli Open Usa del 1990, avrebbe preso una pausa, si sarebbe riorganizzata e sarebbe ritornata. Invece non toccò più una racchetta da tennis per i due anni successivi, e la partita dimostrativa che giocherà in settimana al Boodle and Dunthorne’s Champion Challenge, che si disputa prima di Wimbledon, è un ritorno sul campo più unico che raro. La Bjorn Borg del tennis femminile, verrebbe da pensare e ad avvalorare il tutto cè una frase della stessa Gabriela, successiva al suo ritiro dai campi: “Volevo sperimentare la vita al suo esterno: di solito mi svegliavo, facevo colazione e mi esercitavo per due ore, pranzavo, riposavo un po’ e mi allenavo per un’altra ora. All’inizio era molto divertente, ma dopo qualche anno era diventato un lavoro come andare in ufficio. Non si può dire ‘oggi non me la sento di giocare’, non puoi permetterti di farlo. Nel 1993 cambiai tre volte allenatore. Non ero soddisfatta, non riuscivo a trovare la persona giusta. L’ anno dopo andava di peggio in peggio. Mi svegliavo al mattino e pensavo: ‘mio Dio devo andare ad allenarmi e non ho voglia di farlo’. Voglio fare altro. Volevo semplicemente una vita normale”. Un ritratto che a tratti risulterebbe malinconico ed angosciante, ma che è forse lo specchio dellanima della Sabatini. Gabriela odiava i riflettori e la fama (come dichiarato in unintervista al quotidiano ‘La Nacion’) e viaggiava solo con un allenatore, suo fratello, al quale è molto vicina, o talvolta i genitori. Nel circuito era considerata riservata, perfino arrogante: salutava appena gli altri giocatori, proprio il contrario di Amèlie, definita dalla Clijsters una tennista socievole con la quale poter passare anche una serata in compagnia.
Amèlie, da vera esteta del tennis qual era, si appassionò al tennis quasi per caso, vedendo in televisione il campione francese Yannick Noah impegnato nel Roland Garros del 1982 e, a soli tre anni, decise che quello sarebbe dovuto essere il suo futuro, oltre che un modo per fare emergere la sua vera personalità, dopo un passato travagliato e pieno di lotte interne per la sua omosessualità.
Il suo ormai ex coach, Loic Corteau è stato parte integrante nella carriera della francese, e questo sodalizio, tra alti e bassi, tra vittorie e sconfitte, tra rimpianti e lacrime ha costituito un tassello essenziale nel modo di giocare di Amèlie, che più che di un supporto tecnico, ha sempre avuto bisogno di un supporto mentale: la sua fragilità interiore, nonostante il suo viso facesse trasparire tuttaltro, lha perseguitata per anni sui campi da gioco, talvolta aiutandola, ma più spesso affossandola negli abissi più profondi. Nella memoria dei tifosi rimane impresso quel primo set della finale di Wimbledon 2006 (torneo che poi vinse), nel quale Amèlie appariva inerme di fronte ai colpi della belga Justine Henin, nonché impacciata, rigida, ansiosa. Sembrava, quello, il preludio di un ennesima occasione persa, sebbene pochi mesi prima si era scrollata di dosso un gran peso, battendo la stessa Justine in finale agli Australian Open, e liberandosi delletichetta di ‘eterna incompiuta’.
Nel 2009 annuncia il suo ritiro, Ultimamente non ero più così motivata. Nella mia testa avevo già chiuso dopo Wimbledon, ma ho continuato per non avere rimorsi. Ora è arrivato il momento di voltare pagina e passare ad altro e questo altro del quale parla è un sogno più che un vero progetto. Tra i tanti interrogativi che Amelie si pone c’è quello dell’adozione o della procreazione: «Mi guardo attorno e cerco di capire cos’è meglio per il bambino». Forse ha paura di diventare mamma? Forse. Ha dichiarato di non essersi mai pentita di aver reso pubblica la sua omosessualità: “Ne ho sofferto, dopo, ma non l’ho mai rimpianto”.
Le loro carriere sono ormai definitivamente archiviate (seppur ancor vive nei cuori dei tifosi e dei nostalgici del tennis di ‘tocco’) ed entrambe hanno intrapreso strade diverse, riscoprendo i veri piaceri della vita, troppe volte sottrattigli dalla rigidità che questo sport richiede. Gabriela si dice contenta del suo passato e non lo rinnega, affermando altresì che nel periodo post-ritiro, ha pian piano riscoperto se stessa ed i suoi interessi; Amèlie non ha voluto tagliare definitivamente con il passato, diventando capitano di Fed Cup e passando dalla parte di chi aiuta e non più di chi è aiutato.
Due estete della racchetta, tarde esordienti in una vittoria Slam, quanto precoci nellespressione del loro talento e della loro eccezionalità gestuale, fatta di fluidità muscolare mista a incisività e grazia stilistica. Un grazie a chi ha reso questo sport migliore.