Non va non va non va… Chi scrive è di cattivo umore riguardo alle ultime faccende tennistiche, e ci terrebbe a rendervi partecipi di ciò: anche per cercare un confronto, che è sempre positivo e costruttivo quando non sfocia (oddio, abbastanza di frequente a dirla tutta…) in insulti o derisioni varie da parte di chi è di avviso differente. E già che ci sono, affermo vigorosamente ‘en passant’ che nemmeno quanto si verificherà prossimamente -leggi coppa Davis- rientra fra i miei favori: la manifestazione che ha fatto la storia del tennis è ormai ridotta ad un simulacro di quel che era, quando (con una formula evoluta attraverso i decenni) si era arrivati alla versione più bella ed accattivante per il pubblico. La quale prevedeva, magari qualcuno l’ha già passato nel dimenticatoio, scontri furenti sull’arco di 5 match in tre giorni a casa di una delle due contendenti, col contorno di un tifo spesso da stadio che di regola non è -giustamente- tollerato nei tornei del circuito, ma che nella fattispecie aggiungeva fascino ulteriore ad un evento completamente ‘sui generis’… Vabbè, magari ci torneremo al momento giusto.
Ora concentriamoci sull’appena conclusa Atp Finals, andata in scena sul palco di una Torino che si è dimostrata all’altezza della situazione: cosa della quale ovviamente da italiani ci rallegriamo, già pregustando le edizioni a venire sempre in terra sabauda. Però una serie di situazioni che si son verificate, tutte assieme sin quasi a prefigurare la classica tempesta perfetta, fa sì che si sia ridestato in noi un sentimento di latente fastidio, che ci portiamo dietro da tempo peraltro in ben nota e più autorevole compagnia: già, se pensate che fin da quando si chiamava Masters, i due tuttora in carica -pur silenti, o comunque molto meno assidui per ovvi motivi anagrafici- numi tutelari del tennis nazionale e non solo, andavano proclamando ai quattro venti che la faccenda dei gironi era (vogliamo chiamarla col suo nome?)… una buffonata. Parlo con tutta evidenza di Gianni Clerici e soprattutto Rino Tommasi, più perentorio dello storico… gemello diverso nello stigmatizzare tale competizione, così come congegnata: faccio miei i più inoppugnabili, illustri rilievi, i quali affermavano in soldoni come sia un’aberrazione il fatto che in tale disciplina sportiva qualcuno possa vincere il torneo avendo perduto in precedenza una partita. Eh sì, a questo giochino partono in 128, o 64… o 8, e ne rimane solo uno, imbattuto e con il trofeo in bella vista: ovunque, ma non alle Finals !
Non va, mi ripeto, ed in Piemonte tutti i nodi son venuti al pettine, manco a farlo apposta: ed il fatto che, come nella favoletta di Andersen, sia toccato proprio al bimbo della compagnia proclamare sommessamente che il re è nudo, avvalora ulteriormente la mia sonora inc…ura (ah non si può dire, ma tanto avete capito). Riavvolgiamo il nastro: Sinner subentra in luogo dello sfortunato Matteo, fa polpette di un Hurkacz sottotono, e si presenta al cospetto del bizzarro, e gli faccio un complimento, russo per guadagnarsi una insperata semifinale… Come dite, sbaglio qualcosa? Eh lo so bene, perché nel frattempo erano scesi in campo gli altri due, e l’esito di quel match di fatto vanificava la partita in questione: già questo non mi sta bene, ma neanche un po’, perché cade uno dei fondamenti del tennis, che recita “non si gioca… per sport, ma sempre con qualcosa in palio”! Soprassediamo tuttavia: Jannik parte demotivatissimo, l’altro vuol chiudere la fastidiosa questione alla svelta, in 20 minuti è 6-0. Diamine non posso espormi a figure del genere, deve essersi detto il figlio delle montagne, e comincia a darci dentro come sa fare lui: a quello di là si risveglia l’animo da psicopatico non appena vede il pugnetto esibito più volte dal baby, e gli spettatori fortemente (eufemismo…) coinvolti, tanto da spingerlo a darci dentro di brutto per mettere a tacere tutti. Al contempo però facendo capire ‘urbi et orbi’ che non gliene frega niente di tutto ciò, al punto di annoiarsi… Il confronto prende una piega anomala, non conta nulla ma per l’italiano sì, per l’uomo della steppa no però vuol dare una lezione a quei 10.000 invasati, ed a quel ragazzo dai capelli rossi: no dico, siamo normali??? Finisce come sapete, ma è in sala stampa che con poche parole l’allievo di Riccardo Piatti perentoriamente inchioda alla croce il Presidente tricolore e l’Atp tutta: “spero di rigiocare con lui quando l’incontro conterà di più, e vedremo cosa farà”. Applausi: scroscianti per quel che mi riguarda, il re è nudo e l’ha detto con semplicità e naturalezza il più giovane. Ma al tempo stesso il più saggio.
Non è tutto, perché nel frattempo la faccenda è andata dipanandosi in maniera strana, con un girone nel quale Djokovic era il boss incontrastato, mentre nell’altro han finito con l’accapigliarsi i più forti: non a caso la finalissima ha visto in campo Zverev e Medvedev, con esito poi ribaltato rispetto al match preliminare (altra cosina che mi fa saltar la mosca al naso: non perché chi ha perso prima deve perdere di nuovo, ci mancherebbe… Ma in quanto trattasi di ‘nonsense’, sempre strettamente parlando di cose tennistiche). Pessimo effetto pure questo della formula sbagliata: e quando sommo tutti i fattori negativi, ecco che in me si ridesta l’antico proclama di mastro Rino, che potremmo sintetizzare in un bartaliano -per rimanere in tema di grandissimi- “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare !”.
Sì, da rifare, ma come? Semplice, o almeno così a me pare: Finals con i primi 16 del ranking, da fissare metti un mese prima per evitare corse disperate e stressanti all’ultimo, tabellone classico con 4 teste di serie, 15 incontri nel totale (mica pochi: come prima, magari su 5 sets per rendere la faccenda ancor più interessante). Chi perde va a casa, stop alle manfrine, alle partite inutili o peggio ancora perdute apposta -è successo pure questo, negli anni passati…-. Sempre riserve pronte, direi 4 così si coinvolgono i primi 20 in classifica, dato che spesso in diversi arrivano col fiato corto o male in arnese dal punto di vista fisico: ma questo investe un altro tipo di problematica, dato che si gioca troppo ed a fine stagione parecchi sono incerottati (cosa che va a detrimento dello spettacolo). Si può discutere, ovvio: su tutto, e ciascuno può dare il proprio contributo, nell’ottica di cercare una buona soluzione ad una fattispecie che, a Torino, ha mostrato interamente la corda. Quando arriva la tempesta perfetta, è bene correre ai ripari, no mr. Gaudenzi? Almeno si evita di annegare nuovamente, in futuro…