Davis Cup, i miracoli sportivi di un irreale weekend di marzo

TENNIS – Che il pubblico da Davis sia l’ennesima categoria a parte nel panorama tennistico mondiale, siamo tutti d’accordo, eppure si sono evidenziate nuove chiavi di lettura per molti utenti che da tempo hanno fatto del nazionalismo sportivo la loro assoluta priorità, e anche se questa posizione non è condivisibile da tutti dovrebbe essere comprensibile al 100%, come ci insegnano molti altri sport.

Il circuito maschile è teatro di sempre nuovi exploit, in positivo ed in negativo, e se delle vicende degli atleti di casa dovrebbe essere relativo l’interesse di un connazionale con altri gusti, nella competizione mondiale a team nazionali ecco che l’orgoglio della casacca dovrebbe arrivare a toccare il massimo livello possibile, e se le speranze di un’analisi oggettiva e disinteressata spesso svanivano in un risultato più o meno positivo, ecco che qualcosa sembra stare lentamente portando su di un’altra strada, più tortuosa sotto molti punti di vista ma anche estremamente più soddisfacente, e non sono solo i tennisti kazaki a dover essere ringraziati per tale risultato. Ma andiamo con ordine.

Anzi, con le parole d’ordine: Storie di Davis.

Le grandi imprese dello stesso ventoso (almeno in Italia) weekend marzolino hanno seguito un unico chiarissimo filo conduttore, quello dello spettacolo, che nel bene e nel male unisce tutti gli appassionati grazia ad una indescrivibile emozione sportiva, vero e proprio propulsore di uno sport dalle mille sfaccettature.

Sono stati pochi i risultati a seguire il pronostico senza sussulti, con le sole Francia e Serbia che non hanno praticamente mai messo in discussione il loro passaggio del turno a discapito rispettivamente di Germania e Croazia (la prima al debutto con il nuovo capitano per la Davis e con Kohlschreiber al rientro e la seconda senza le punte di diamante Cilic e Dodig).

Per quanto sia indisponente e deleterio per il tennis nei tornei settimanali del circuito ATP, il pubblico sudamericano del derbyssimo tra Argentina e Brasile ha costituito una strepitosa cornice ad un incontro che vedeva i portabandiera nazionali impegnati su tantissimi fronti oltre a quello prettamente tecnico: si è giocato sui nervi e sull’orgoglio, sulla resistenza e sull’impeto, con ogni punto che faceva esplodere lo stadio di Buenos Aires in emozionanti cori di incitamento o di festa.

souza

Ne saprà qualcosa Joao Souza, brasiliano terrarossista della prima ora che già fece impazzire il nostro Luca Vanni nella semifinale del torneo ATP250 di San Paolo, non solo con i suoi comportamenti discutibili, ma anche per il riflesso che aveva ogni sua giocata sul pubblico di casa nei confronti del proprio beniamino: Joao ha trascorso 11 ore e 47 minuti sul campo da tennis per solamente due incontri, il primo durato 5 ore esatte contro Carlos Berlocq e 6 ore e 47 del secondo contro Leonardo Mayer, il secondo match più lungo della storia dopo l’inarrivabile Isner-Mahut a Wimbledon 2010, anche se primo assoluto in Coppa Davis. Delbonis e Bellucci sono impegnati anche il lunedì, perché la notte è sopraggiunta dopo il primo set dell’incontro di spareggio, e Argentina-Brasile, come nel calcio, è nella storia.

Per la storia britannica ci ha (ri)pensato James Ward, fenomenale Monsù Travet del tennis di Queen Elisabeth da due anni a questa parte, e se non gli riuscì il miracolo contro l’Italia a Napoli dopo l’incredibile successo di Fognini su Murray, ecco che il ragazzone londinese N.108 del mondo ha trovato nei temibili U.S.A. la preda perfetta, dopo Sam Querrey sulla terra a domicilio nella Coppa Davis 2014, ecco che lo scalpo di John Isner su cemento indoor pesa tantissimo, visto e considerato che vincere 15-13 al quinto set dopo essere stati sotto 2 parziali a zero è roba da un’altra galassia, neanche un altro pianeta.

James abbandonerà per infortunio l’ultimo ininfluente incontro con Donald Young, che stava conducendo per 7-5 0-1, subito dopo essersi lanciato in un palleggio con i piedi alla Ronaldinho che ha parlato per lui ancor più del punteggio, perché avrebbe vinto anche quella, si sentiva imbattibile e forse in quelle condizioni imbattibile lo era davvero.

Da Murray a Nishikori: se Sir Andy aveva al suo fianco l’imprescindibile Ward a trovarsi eroicamente il punto decisivo, il buon Kei si è presentato a Vancouver già con la morte nel cuore, perché se il Giappone del tennis sta crescendo moltissimo, Ito e Soeda non sono partner adeguati per uno che si è arrampicato fino alla quarta piazza del mondo. Nessuna intenzione di sminuire i due giocatori giapponesi, per carità; l’intenzione era quella di sottolineare come Kei si sia presentato al weekend di Davis conscio delle poche possibilità di passare il turno, conquistando alla grandissima i suoi due punti e dimostrandosi grande professionista e sognatore, con Uchiyama e Soeda che, nel doppio, hanno davvero sfiorato il sogno di battere Nestor-Pospisil dando ai supporters nipponici una soddisfazione unica, anche perché ad attenderli ci sarebbe stato il Belgio, mica i Globetrotters.

Belgio che ha approfittato come ha potuto dell’assenza di Wawrinka e Federer, rischiando comunque molto con i ragazzi di Luthi: Storie di Davis anche a Liegi, tutto nel segno del sottovalutatissimo Henri Laaksonen, che è stato avvantaggiato dalle precarie condizioni di Bemelmans prima e Darcis poi, però che si è fatto trovare prontissimo, rimontando quando doveva rimontare e non lasciando mai andare un 15 per scoramento o disillusione.

Lammer, Bossel e Bossel-Lammer hanno di fatto ammainato le bandiere, facendo forse rimpiangere un po’ quel Marti che ha abbandonato il ritiro dopo l’ultimo smacco di Luthi e lasciando solo il Laaksonen che ha dato nuova vita ai biglietti di un primo turno che sembrava già archiviato.

Le Storie di Davis, infine, passano anche da Ostrava, il fortino ceco che tante gioie aveva regalato a Navratil, Berdych e Stepanek, oltre che alle donne della Fed Cup: le pesantissime assenze dei numeri 1 e 2 di casa hanno complicato non poco le cose, eppure i loro ricambi naturali, quei Rosol e Vesely che aspettavano solo la chance per dimostrare il loro effettivo valore, hanno fatto cilecca che di più non si sarebbe potuto: vanno attentamente considerati tutti i fattori, però se Pavlasek-Vesely in doppio ce l’hanno fatta contro Hewitt-Groth, il dramma è stato tutto in singolare, con Tomic che ha scherzato lo stesso Vesely e con Kokkinakis che da neanche Top100, oltre che da giovanissimo alle primissime esperienze in tali bolgie, che ha rimontato Rosol da 4-6 2-6, con il 29enne di Brno che da N.30 del mondo deve fare davvero tanto di più.

I giovani se ne vanno ai quarti contro il Kazakhstan, e se sceglieranno l’erba ci godremo anche qualcosa di più di ciò che abbiamo potuto ammirare ad Ostrava.

Dell’Italia, come detto a pagina 1, ha poco senso parlare nel “day after”, anche perché sarebbe bastato un game in più per erigere Fognini ad eroe nazionale e Barazzutti ad imperatore del regno, errando nell’uno e nell’altro caso, perché sono Storie di Davis anche quelle del magistrale Kukushkin e del bravissimo Nedovyesov, che di errori ne ha fatti ma ha regalato anche una nuova dimensione al suo gioco grazie alla chance di chi lo ha saputo apprezzare contro Fognini.

Più Davis per tutti, e se spesso i nazionalismi vanno ad intaccare la bellezza di una passione per il gioco nel vero senso della parola, dove sono di rigore, come nelle manifestazioni a squadre, ecco che si presenta l’occasione più ghiotta possibile di poter rimanere estasiati da quanto di fantastico questo sport possa regalare, per i tecnici ed i divanisti (cit.) dell’ultima ora. 

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