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Diario degli Australian Open: giorno 9

-Numeri alla mano, la partita di Nadal con Tiafoe è stata perfetta. Dall’inizio del torneo, quando gioca lo spagnolo, cerco di focalizzare la mia attenzione su un dettaglio tecnico del suo gioco, che riporto poi, pedissequamente, nel diario giornaliero. Ora, analizzato ogni frangente, è il momento di tirare una somma complessiva. È vero che, in quanto ad avversari affrontati, lo spagnolo non si possa definire perseguitato dalla sorte. Anzi, il percorso avuto per raggiungere la semifinale può essere considerato piuttosto agevole. Nonostante tutto, però, il Rafa che con immenso piacere sto avendo la fortuna di ammirare in questi giorni è il migliore che ricordi sul veloce dal 2010, anno in cui, soltanto un ritiro ai quarti di finale dell’Open d’Australia, gli impedì la conquista del Grande Slam. Da quell’anno, però, il gioco del maiorchino ha subito evidenti variazioni. Innanzitutto il servizio. Ho già esposto, nel diario del terzo giorno, gli accorgimenti tecnici messi in atto per ricavare maggiori benefici dal colpo di inizio gioco. Questi, però, sarebbero inutili, se nella mente di Nadal non fosse germogliata una, a lui insolita, predisposizione al gioco d’attacco. Confrontando le immagini del 2010, alle quali facevo riferimento, con quelle della sfida odierna, la differenza è palese. All’epoca, gli slice utilizzati per la maggiore con la prima di servizio erano seguiti da un piccolo passo in avanti celermente corretto da un allontanamento dalla linea di fondo. La curva mancina veniva dunque usata da Nadal per aprirsi il campo, che poi però, retrocedendo, iniziava lo scambio da fondo, arrotando di dritto ed alzando la traiettoria con il rovescio. Ora, ad una prima che ha visto aumentare la percentuale di palle giocate piatte, seguono un paio di passetti di assestamento all’interno della linea di fondo. Nadal non retrocede, ma si posiziona per il successivo impatto non disdegnando il controbalzo. Non perde campo e, costretto ad impattare con più rapidità, accorcia le preparazioni, giocando colpi meno lavorati senza disdegnare il lungolinea, iniziando da subito lo scambio in controllo delle operazioni. Sono dettagli, invisibili ad un occhio disattento, ma capaci di portarlo in semifinale agli Australian Open senza perdere nemmeno un set.

-Petra Kvitova fa ciò che vuole con l’autoctona Barty, gnometto dal tennis gradevole che pecca, dettaglio necessario per pensare di competere con una grande colpitrice come la ceca, di potenza. Petra, apparsa in forma fisica perfetta, è dotata di un talento che le scialbe palleggiatrici del circuito non si sognano neppure. Lo dico senza paura di sfociare nel delirio: a livello di colpi, nessuna possiede la sua qualità. Nei momenti in cui, all’interno del fragile cranio della Kvitova, tutto funziona per il meglio, dritti e rovesci sfilano da ogni lato del campo. È un simposio di vincenti al quale l’australiana può soltanto partecipare in qualità di spettatrice. Il problema di Petra è che, non dico all’interno di un intero torneo, ma anche solo per la durata di una partita, la probabilità di assistere ad una prestazione lineare, non condita da improvvisi sbalzi d’umore, sia spaventosamente bassa. Ha il tennis per vincere lo Slam. Attualmente appare l’unica, ai miei occhi, a poter essere credibile come valida avversaria di Serena. La psiche, però, vacilla. Se non l’ha fatto fino ad ora, è solo questione di tempo.

-Danielle Collins raggiunge la semifinale ricordandoci, come se ce ne fosse bisogno, che all’interno del circuito femminile i nomi presenti nelle fasi finali di un Major vengano sorteggiati a caso da un cabarettista ipovedente amanti degli scherzi. Non avendo mai vinto un match nel tabellone di uno Slam, l’americana si presenta all’appuntamento con la spocchia di chi, una volta sotto i riflettori, si senta già una diva hollywoodiana, pur essendo ancora una comparsa di Bombay. L’arroganza con la quale urla in faccia alla Pavlyuchenkova, nuovamente incapace di cogliere le tante opportunità avute come spesso è accaduto in carriera, mi ha fatto irritare. Un gioco privo di scrupolo, fondamentali tirati con foga seguiti da fare altezzoso. Spero riceva, dalla Kvitova, una lezione di tennis, e da qualcun altro, magari, una lezione di stile.

-Tsitsipas supera quella che, da tutti, è definita la “prova del nove”. Battuto Federer, era il turno del rognoso spagnolo, tutta corsa e regolarità con un dritto piatto troppo sottovalutato. Quattro set di ottimo gioco, un risultato che premia il più forte in campo. Con Nadal, non penso esistano possibilità di successo. Non che io non creda nelle immense potenzialità del greco, ma l’attitudine messa in campo dallo spagnolo, che sin da subito prende il primo piano ricordando agli avversari chi sia il vero sovrano, mi fa credere in un solo epilogo. Sarà un incontro tra due interpreti dalla tattica dicotomica, quindi il migliore che si possa desiderare. Se il maiorchino è la vecchia guardia ancora in cerca di risposte, l’ellenico è l’alba di un sole, il gioco d’attacco, tramontato da tempo, ma deciso a tornare. Premesse preferibili non potrebbero esistere. Attendiamo sia il campo a renderci liberi dall’incertezza.

Dal vostro cronista è tutto, a domani.

Nicola Corradi

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Nicola Corradi

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