-Splendida semifinale tra le due più forti giocatrici rimaste in tabellone. Venere mai doma e Stephens dalle celate qualità.
Come ogni match femminile che si rispetti, il punteggio subisce continui ed insensati ribaltamenti di fronte.
Il primo set è un agevole 6-1 in favore della più giovane delle afroamericane, che disegna tennis con una semplicità disarmante. Non disprezza la potenza, certo, ma rispetto a molteplici padellatrici mononeuroniche, quelle cioè che ultimamente colonizzano il circuito, alterna con garbo accelerazioni e geometrie, senza disdegnare, se chiamata a farlo, l’utilizzo di smorzate e tagli da sotto.
Nel secondo parziale la Williams dilaga, 6-0.
Il terzo e decisivo set è un continuo alternarsi di break e controbreak, errori grossolani e vincenti degni di nota. Nonostante queste turbolenze, Sloane, non perde mai la propria compostezza.
La Stephens strappa ancora il servizio all’avversaria nell’undicesimo gioco, va a servire e vince la partita.
Nel 2013, a soli vent’anni, raggiunse la semifinale agli Australian Open, battendo Serena in tre set ed illudendo il popolo americano, da sempre voracemente affamato di talenti precoci da portare dalla ribalta, di aver trovato l’erede della famiglia da quaranta Slam.
Qualche infortunio ed un peso della pressione difficile da gestire la fecero tornare nell’oblio, dopo essere stata ad un passo dalla top 10. Quattro anni dopo, nel torneo delle sorprese concesso da un movimento sempre più in balia degli eventi, la nuova rinascita.
Che bella giocatrice, Sloane.
Fine ed educata. Un piacere averla riscoperta.
-Nella seconda semifinale di giornata, il sergente Vandeweghe scende in campo opposto a Madison Keys, altra giocatrice descritta da tempo come promessa mancata per il pubblico a stelle e strisce.
Coco, dopo il quarto di finale vinto con Karolina Pliskova, dichiarò di essere in grado di poter fare qualsiasi cosa. Coerente con se stessa, la campionessa, nonché leader incontrastata nella speciale classifica dedita a valutare la quantità di inutile boria autoreferenziale, palesa l’ovvietà della propria affermazione, dimostrandosi persino capace di racimolare la miseria di tre game nella partita più importante della carriera. Complimenti.
Madison, lei sì dotata di un talento innegabile, fa ciò che vuole.
Quanta potenza in questa giocatrice. Nelle giornate buone, ovvero quelle nelle quali i colpi non fuggono dalle corde alla disperata ricerca di un pennuto da colpire, pare a tratti incontenibile.
Il riassunto del match è dato dall’immagine della Keys che impatta la palla ad altezza anca ed il conseguente tentativo di difesa della Vandeweghe, dotata delle feline movenze di un catamarano, ovviamente finito in rete.
Si sfocia poi nella parte comica del match durante le discese a rete dell’eclettica bionda che, sentendosi forse una sorta di Navratilova indubbiamente più dotata, si prodiga in serve&volley esteticamente osceni (rivedibili, per gli amanti del politicamente corretto) sui quali la Keys, ad occhi chiusi, trova comodi passanti.
Finale inedita, dunque, che consacrerà, in questo brioso 2017, la quarta diversa campionessa Slam.
Che dire, il mio tifo sarà per la Stephens, ma la Keys vista stanotte è davvero impressionante.
-Si giocano, sul centrale, le semifinali del torneo di tennis in carrozzina. La vittoria dello sport.
Spalti gremiti in entrambi gli appuntamenti, tifo costante, gioia ed emozione.
Nel secondo match, quello che vede due coppie femminili contendersi l’accesso alla finale, trionfa persino un’americana, Dana Mathewson, dopo aver perso il primo set 6-0 ed aver rimontato fino al decisivo super-tiebreak.
Uno splendido spettacolo di sport e vita.
Dal vostro cronista apotropaico è tutto.
A domani.