-La recente storia di Petra Kvitova sarebbe perfetta tra la mani esperte di un regista cinematografico, che ne trarrebbe fuori una pellicola dal significato profondo. Come tutti voi saprete, alla fine dello scorso anno, la ceca è stata aggredita alla mano sinistra da un rapinatore introdottosi nella sua abitazione, che, agitando un coltello, le ha ferito gravemente la mano sinistra. Negli ultimi tempi, su siti specialistici esenti dal timore di impressionare i propri lettori, sono uscite le foto che ritraggono la mano della Kvitova subito dopo l’accaduto. Le condizioni erano terrificanti. Nella partita di stanotte, l’ottavo dal valore di una finale che la vedeva opposta a Garbine Muguruza, Petra ha avuto la sua vendetta. Non su Garbine, certo, ma sulla vita, e su quella sentenza medica che, inizialmente, aveva decretato come impossibile il suo ritorno alle competizioni. È la sfida più bella di giornata. La spagnola, giocatrice più in forma del momento, fa valere tutta la sua pesantezza di palla, tentando di sfondare ogni qualvolta, nella propria metà campo, arrivi una palla morbida. Petra, di contro, sfrutta al maglio le curve mancine, ritrovando quel gioco devastante che, nel 2011 e nel 2014, la rese campionessa di Wimbledon. Virulenza continua rende livida la palla, sofferente, ma grata al tempo stesso per essere malmenata con tale razionalità. Nessuna, nel circuito, è in grado di trovare angoli con la facilità della Kvitova. La partita è equilibrata, le due sfoggiano un tennis apollineo, fino a quando, nel tiebreak del primo set, la spagnola ha un piccolo black-out, spara fuori una facile volee alla quale fa seguire un doppio fallo. 7-5 Kvitova, che ingrana la marcia giusta, spinge e domina il secondo parziale. Uno spettacolo straordinario. Una storia che, nonostante non sia finita qui, merita di essere raccontata.
-Anastasija Sevastova si prende lo scalpo di giornata, eliminando in rimonta la stella del torneo Maria Sharapova. Bella giocatrice, la lettone, dotata di un gran numero di soluzioni che, come spesso succede in questi casi, risultano per lei un’arma a doppio taglio. Dal lato del rovescio sente benissimo la palla, e questo accorgimento tattico, con l’utilizzo di un gran numero di back e palle corte, è stato quello in grado di procurarle la vittoria. Troppi, dall’altro lato, gli errori dell’algida siberiana. Troppi, soprattutto, se si considera, come visto in larga parte del primo e del secondo set, la capacità di Maria di prendere lo scambio tra le mani. Poca pazienza per lei, ritrovatasi d’un tratto a sparare scriteriate pallate di dritto e rovescio pregando una divinità amica che rimanessero in campo. Se vogliamo, l’unica buona notizia è che abbia concluso il torneo senza ulteriori rotture, viste le precarie condizioni con le quali ha finora affrontato l’anno del rientro in grande stile. La partita di stanotte, a me malinconico spettatore, ha ricordato, per sviluppi di gioco, quella che, due anni fa, entrò nella storia come una delle più grande imprese di sempre, quando la nostra Roberta Vinci negò a Serena Williams la gioia del Grande Slam. In entrambe le sfide citate, il back di rovescio ha fatto la differenza. Riuscirà Maria a tornare quella di cinque anni fa? Dubito, ma staremo a vedere.
-Paolo Lorenzi, uscito stamani su tutti i quotidiani come italico eroe dal grande cuore, esce dal torneo. La definizione è vera in parte, perché capace di strappare un set a Kevin Anderson in un match nel quale molti, io compreso, davano il sudafricano facilmente vincente in tre parziali. La sfida è di quelle da coma narcolettico, specialmente se seguita nella notte italiana con la tentazione pressante di abbandonarsi al sonno ed ammirare in sogno le gesta di un giovane Edberg campione a Wimbledon. Anderson è tesissimo e dopo ogni scambio esulta con veemenza. Lui, apatico struzzo giganteggiante, pare con questo atteggiamento la caricatura tragicomica di se stesso. Ha più colpi, però, del nostro Paolo, più potenza e più servizio, dunque la sconfitta è logica e giusta. Rimane comunque, per il senese, un grandissimo torneo. Il migliore della carriera a 35 anni.
Bravo.
-Pouille, mio candido pupillo così eternamente perdente, cade sotto i rognosi colpi di Diego Scwartzman, che simula un infortunio farlocco a fine terzo set alla quale la veridicità non crede nemmeno lui. L’argentino è ciò che in gergo definisco un “cagnaccio”. Aggressivo, cattivo, mai domo. Uno di quelli ai quali, dopo tre accelerazioni recuperate con corse allo sfinimento che non accennano a terminare, ti fa venir voglia di tirare la quarta in fronte. Anche questa è una qualità, senza dubbio, soprattutto viste le palesi carenze fisiche (un metro e settanta di altezza raggiunto per bontà del misuratore) che ne condizionano il rendimento. Nonostante questo, un ottimo servizio ed una grande esplosività dei colpi. La landa della desolazione porta anche i più impensabili a raggiungere il risultato della vita.
-Cade Sapovalov, estromesso da un altro giocatore che di solidità se ne intende parecchio. E’ Pablo Carreno-Busta, il Ferrer aggiornato al 2017. C’è poco da fare, il canadese è indubbiamente più forte, ma lo spagnolo, esperto, gioca meglio i momenti decisivi, ed il 7-6 7-6 7-6 con il quale si conclude la sfida ne è la perfetta dimostrazione. Se la partita fosse finita con il medesimo punteggio, a parti invertite, nessuno avrebbe avuto niente da obiettare, ma già il fatto che, in tre ore così asfissianti, Denis sia stato in grado di mantenere costantemente la concentrazione, rende l’idea di quanto forte sia questo giocatore. Diciotto anni, sembra impossibile. La miglior promessa della nuova generazione.
Dal vostro bistrattato cronista è tutto.
A domani.