-Che match, che interpreti e che sceneggiatura. E’ un vero spettacolo quello al quale il pubblico assiste sull’Artur Ashe Stadium, dove, come prima sfida del programma serale, si sfidano Venus Williams e Petra Kvitova. Le due, una volta eliminata la Muguruza, sono le massime favorite per la vittoria finale. Petra ha avuto un tabellone complicatissimo, ma nonostante tremende fatiche patite per giungere al quarto di finale, pare ancora possedere tutte le forze per agguantare questo successo. Gioca benissimo, intendiamoci, trova angoli impensabili sfruttando le traiettorie mancine così infide e insidiose. Di là, però, non c’è un’avversaria normale, ma la Venere. Entrambe picchiano la palla, gemono, giocano con una tale potenza generare nella platea, più volte, un mormorio di stupore. C’è razionalità, però, nei loro colpi, non soltanto voglia incontrollabile di colpire con più forza possibile. Primo set Williams, secondo Kvitova. Il parziale decisivo è la giusta conclusione per una finale mascherata da quinto turno. Break ceco in partenza, contro break americano. Urla indistinte rendono una bolgia il campo centrale, sottofondo interrotto di tanto in tanto da paurosi guaiti striduli e fulminei che escono dalla bocca di Petra. Dovrebbero essere, mi dicono, urla di incitamento. Alle mie orecchie paiono soltanto virulente strida con sfumature demoniache. Il tiebreak deciderà l’incontro. Kvitova si irrigidisce, Venus continua la propria marcia inarrestabile. Un servizio vincente decreta il risultato, 6-3 3-6 7-6 in favore dell’americana. Terza semifinale Slam dell’anno.
Eterna Venere, dalla classe innata.
-La giornata di ieri ha avuto, come macchiette del programma simili alla versione ‘talenti incompresi’ che tanto, ad X-Factor, andava di moda anni fa, i due quarti di finale proposti dalla landa della desolazione. Carreno Busta-Schwartzman e Querrey-Anderson, due match dal preambolo intrigante quanto un documentario turco interamente dedicato alla spiegazione tecnica di come si svolga la spremitura degli agrumi usando solo il dito mignolo. Non è un caso che, perfino Mats Wilander, dedichi al loro approfondimento il tempo minimo. Lui, a suo tempo principale causa di catalessi al mondo, sembra quasi vergognarsi pensando ad un possibile Carreno Busta finalista Slam. Per dovere di cronaca, il piccolo Schwartzman costretto alla resa in tre miseri set contro il brioso spagnolo, un nuovo Ferrer del quale mi sono già stancato. Anderson, dall’altra parte, elimina contro pronostico lo Zio Sam, in una partita da quarantadue ace e zero emozioni. Prepariamoci alla semifinale.
Nuovamente, un sentito grazie al tabellone.
-Sloane Stephens raggiunge la seconda semifinale Slam in carriera, dopo che nel 2013, a soli vent’anni, conquistò lo stesso risultato agli Australian Open, battendo ai quarti di finale la favoritissima Serena Williams. L’americana è un’ottima giocatrice. Tutti la conoscono per le sue doti di picchiatrice, caratteristica che però, ormai, possiedono quasi tutte. In realtà Sloane, dai morbidi lineamenti, è dotata anche di una buona mano. Opposta alla Sevastova, tennista capace, come forse nessuna, di innervosire l’avversaria con un gioco subdolo di taglietti e frequenti smorzate, dimostra grande lucidità tattica, attuando sul campo un piano di gioco visibilmente preparato giorni prima osservando i precedenti match dell’avversaria. Come dicevo, le palle corte sono uno dei punti forti della lettone, che, abituata a competere con scriteriate padellatrici dotate della mobilità di un catamarano, gioca distrattamente commettendo l’errore di non seguirle a rete. Con la Sharapova funzionò, ma la Stephens, questo dettaglio, non se l’è fatto scappare. Ad ogni smorzata arrivava dunque, puntuale, una contro smorzata, sulla quale la Sevastova si trovava impreparata. Altra sfida risolta al tiebreak del terzo set.
L’america, nella prima giornata di quarti, porta due giocatrici in semifinale, assicurandosene, dunque, almeno una in finale. Oggi sarà il turno di Vandeweghe e Keys. Grandissimo torneo per loro.
-Durante una fase particolarmente intensa della mia “malattia tennistica”, mi sono messo a guardare il doppio misto. Chi c’era in campo? Martina Hingis.
Non ho timore nel dire che, se scegliesse di giocare il singolo, non avrebbe problemi nel raggiungere grandi risultati in un torneo dello Slam (considerando che la Kanepi, sulla via del pensionamento da anni, sia ai quarti di finale).
Che classe e che gioco, quel rovescio riesce sempre ad emozionarmi.
Dal vostro cronista amante dei paralipomeni è tutto.
A domani.