Roger Federer assoluto dominatore di una stagione mediocre. Il successo in Australia, sul quale milioni di giornalisti hanno già versato fiumi di parole, rimarrà nella storia in eterno, prendendosi con merito la prima posizione tra le vittorie di grandi campioni apparentemente eclissati tornati agli anacronistici fasti come se avessero fermato l’avanzare del tempo.
Ovvietà a parte, quella dello svizzero è stata un’annata gestita da esperto statista, con appuntamenti selezionati a campione dove la vittoria è stata quasi sempre prima prevista ed in seguito ottenuta. 19 Slam che lo gettano ancor più ai vertici della leggenda.
Il Vate, tra magici tocchi e prodezze ancestrali, ha fatto brillare gli occhi agli adepti mai come quest’anno al suo seguito, mostrando con naturalezza una condizione atletica impressionante possibile solo grazie al miglior fisico che il mondo del tennis abbia avuto in dono. L’ottavo Wimbledon come definitiva meraviglia, la sudditanza psicologica come arma in più dove anche i suoi empirei mezzi tecnici non l’hanno supportato.
-Rafa Nadal termina numero uno del mondo, posizione che, visti i trascorsi degli ultimi anni, né i tifosi tutti, né lui, si sarebbero mai immaginati di poter raggiungere. Lo spagnolo vince tutto ciò che Federer lascia per strada, rendendosi protagonista, durante la stagione sul rosso, di un leggendario triplete formato da decadi di trofei. Più ancora di Federer, dotato da una generosa divinità di un talento ineguagliabile, la rinascita di Nadal rappresenta il punto più alto ed inaspettato dell’anno. Un uomo finito ad essere la spenta e scarica versione di se stesso, palleggiato da chiunque fosse in grado di imprimere un ritmo sostenuto alla scambio, martoriato da infortuni e critiche pesantissime da parte di pubblico ed addetti ai lavori, descritto come se, arrivato a trent’anni, avesse chiesto fin troppo ad un corpo stratosferico ma pur sempre umano.
Dritto che riprende a funzionare, gambe che corrono avvicinandosi ai fasti di un tempo. Nel Nadal del 2017, salvo sporadici casi, è tornata la foga animalesca che da sempre l’ha contraddistinto nei momenti delicati. Che piacere vederlo lasciarsi cadere su un campo rosso.
Per me, suo seguace convinto, dopo anni di sofferenza è arrivata la gioia.
E non mi rimane altro che dirgli grazie.
-Nella stagione appena trascorsa, per un ossimoro intrigante, i protagonisti sono stati gli assenti. I più illustri sono fuggiti dalle scene, capitanati da Djokovic che, come salice piangente, ha salutato tutti già a Luglio. Non che i primi sei mesi fossero stati, per lui, una miniera d’oro. Istomin trasformatosi a Gennaio in un giocatore irresistibile, Kyrgios burbero insormontabile, Thiem diavolo incontrastabile. Quelli che, negli anni precedenti, parevano al suo cospetto semplici comprimari, sono venuti ad essere i favoriti dei suoi match. I motivi della crisi serba saranno probabilmente sempre ignoti, ma già si accenna al suo ritorno che avverrà agli Australian Open. Nole manca al tennis, un po’ meno ai tifosi dei semidei spagno-svizzeri, un caloroso bentornato a lui e famiglia.
Al rientro anche Wawrinka, Murray (dicono in giro non si sia ancora ripreso dalle fatiche patite a fine 2016 per raggiungere la vetta del ranking. Tempi di recupero così lunghi non li avrebbe nemmeno Pietrangeli dopo l’attraversamento a nuoto del canale della Manica), Nishikori e Raonic, del quale nessuno, però, sembra aver sentito la mancanza. Con loro si prospetta un’annata eccitante, staremo a vedere.
-NextGen come parole più usata, ed abusata, del 2017. L’annata di questo circuito, del quale si parla come avesse vita propria, è stata più che buona. Guida il carro Alexander Zverev, vincitore di due mille ma inspiegabilmente mai oltre il quarto turno in uno Slam. La stoffa è di chi dominerà il circuito, non tanto per gli exploit collezionati lungo il corso dei mesi, quanto più per la sicurezza a volte disarmante che mostra in campo nel momento in cui si trova a giocare match da favorito contro avversari che, fino a poco tempo fa, gli erano superiori. Ancora margini di miglioramento enormi, forse non ancora limati a causa di una spocchia che da sempre mi sembra di percepire nei suoi atteggiamenti. Avrà tempo, certo, ma quella che si troverà ad affrontare sarà, per lui, la stagione più difficile della carriera. Il 2017 ci porta alla scoperta di altri pargoli notevoli, tra cui Shapovalov, celermente eletto come rappresentante del bel tennis negli anni a venire, Rublev, Medvedev (altamente sopravvalutato), Chung, Tiafoe, Tsitsipas e Khachanov. A loro si aggiunge, per mia personalissima fissazione, Lucas Pouille, il più candido degli angeli picchiatori, il miglior giovane del panorama attuale frenato, ahimè, da una tradizione francese che sembra imporre ai propri interpreti il dogma della sconfitta.
-Francia che, nonostante questa imposizione suprema, riesce a vincere la Davis, suggellata dal punto decisivo conquistato proprio da Pouille. La scuola transalpina è, dal punto di vista tecnico, la migliore al mondo, e la decima coppa non è altro che il giusto riconoscimento ad una nazione in grado, continuativamente, di produrre esponenti di rilievo.
Così vicini a noi, eppure così lontani. La FIT, in una stagione nella quale il punto di maggior popolarità è stato raggiunto dopo le offese rivolte da Fognini contro il giudice di sedia agli Us Open, dovrebbe iniziare a prendere appunti.
-Nonostante qualcuno tenti ancora di descrivere l’anno appena concluso come colmo di beltà e spettacolo, la realtà è che i successi di Federer e Nadal hanno nascosto, sotto l’ala della malinconia e del romanticismo, un vuoto qualitativo piuttosto simile a quello che ormai da tempo siamo costretti a subire nel circuito femminile.
La mancanza di giocatori di spessore ha portato ad una progressiva diminuzione del livello medio, che come conseguenza ha concesso, a tennisti di medio profilo, la possibilità di contendersi i titoli più prestigiosi. Dopo tre mesi di eccelsa trance agonistica, i due dittatori hanno drasticamente abbassato la loro condizione di gioco, e nonostante tutto nessuno è stato in grado di contrastarli.
Nadal e Federer, tolti appunto i primi mesi dell’anno, non hanno vinto per manifesta superiorità, ma per mancanza di avversari validi, disputando tornei già banalmente scritti fin dal principio. Le storie, soprattuto quando coinvolgono quelli che sono i nostri idoli, piacciono a tutti, ma è giusto dire le cose come stanno.
Mi hanno chiesto se, avendone la possibilità, mi piacerebbe assistere di nuovo ad una stagione come quella appena terminata.
Ho risposto no, perché, più delle favole, amo il tennis giocato.