-Serena Williams torna a disputare una partita ufficiale dopo tempo immemore, facendo attendere la sua presenza come nettare divino in un circuito che di lei, pur non ammettendolo, ne ha eterno bisogno. L’intero torneo, infatti, annunciava da tempo la presenza dell’americana nel tabellone principale, vantandosi della sua partecipazione con gli organizzatori che non erano stati in grado di far cedere l’assoluto rifiuto nei confronti del gioco mostrato dal momento del parto ad oggi. Pur indossando una mise orrenda (simile più ad una muta che ad un completo vero e proprio) e mettendo in campo una reattività lontana anni luce da un livello accettabile, batte Kristina Pliskova e lo fa in due set.
Inutile sottolineare come, affrontando una giocatrice differente dalla ceca, tatticamente mononeuronica dalla nascita, le chance per Serena di vincere una partita siano prossime allo zero. Basta giocare due palle in angoli diversi che l’americana arranca, rincorre e sbaglia.
Se colpisce da ferma, però, dimostra ancora di essere la migliore al mondo, impattando con uno chiocco sordo che fa sorridere gli appassionati di tecnica.
Condizione non all’altezza, ma comunque vittoria. Non è cosa da tutti.
-Ero convinto che il terzo set sarebbe finito nelle tasche di Simone Bolelli, trovatosi in vantaggio 6-3 nel tiebreak mostrando fiammate di candore tennistico degne di nota, fino a quando Nadal, costretto ad affrontare tre set point consecutivi, non mi ha fatto capire in modo inequivocabile il motivo per il quale, sul rosso, abbia instaurato la più tremenda e duratura dittatura della storia. Simone veleggiava fiero, schiacciando la palla con dritti virulenti ed accarezzandola talvolta prodigandosi in smorzate millimetriche, entrando a piedi pari in quella che, gli esperti anglofoni, chiamano “the zone”, la condizione nella quale tutto ciò che provi risulta vincente. Rafa serve, ace al centro, 6-4. Di nuovo al servizio, prima dentro, dritto anomalo sulla riga, volee di rovescio, 6-5. Serve Bolelli, prima potente, risposta di Nadal che atterra sulla riga. Simone spinge, Nadal incassa, cambia lungolinea, si sposta dall’angolo destro, dritto incrociato che scorre sibilando.
Tre punti vinti, dominando la scena e non lasciando all’altro il potere di decidere.
Dal 6-6 si seguono i servizi, poi lo spagnolo chiude 11-9.
Ed è game set and match, l’ottantesima vittoria a Parigi.
-Maria Sharapova esce da un thriller potenzialmente letale, dopo essere stata in vantaggio sull’olandese Hogenkamp ed aver rischiato la rimonta beffarda. Il livello della siberiana, rispetto a quello che le ha causato un’ecatombe di incontri alla portata negli ultimi sei mesi, pare decisamente migliorato e quando il tennis non arriva in soccorso, le bionde urla caricano una personalità ingombrante che si fa strada tra le trame dell’incontro e schiaccia l’avversaria sui teloni. Potrebbe perdere al prossimo turno, oppure vincere il torneo. La cosa si fa interessante.
-Tutto regolare per Fabio Fognini, che dispone a proprio piacimento di Andujar battendolo in tre set. Il ligure è atteso da Ymer e successivamente, a livello teorico, da Edmund, giocatore in ascesi ma tutto tratte specialista del rosso. Il tabellone non è dei più complessi, si può provare il piazzamento di rilievo, soprattutto considerando la qualità celata di Fognini. L’esaltazione inconscia ma letale che lo assale prepotentemente nei match giocati da sfavorito.
Dal vostro cronista è tutto, a domani.