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Diario di Wimbledon: giorno 10

-Venus marmorea ed eterna. Nel 1997 un primo turno di secondo piano la vide opposta alla Grzybowska, che raggiungendo la trentesima posizione mondiale fu considerata, prima della candida apparizione della Radwanska, la tennista polacca più forte di sempre. Vent’anni e cinque titoli dopo, la più grande delle Williams torna in finale, la seconda Slam dell’anno. Graziosa e devastante, il fato la vuole avversaria di Johanna Konta, paladina, dopo la scottante debacle dello scozzese Murray narrata con disprezzo dai giornali sudditi della regina madre, di un’Inghilterra di nuovo in cerca di campioni da glorificare.
Venus non si fa impressionare. Troppa è l’esperienza accumulata in un ventennio di carriera.
6-4, apparentemente equilibrato, 6-2, senza storia. Dieci anni fa l’ultimo titolo a Wimbledon.
Sabato, in finale, probabilmente cederà allo strapotere fisico di una ritrovata spagnola. Se però il servizio dovesse continuare a fungere come miracoloso pozzo da cui estrarre raffiche di ace e servizi vincenti, la storia potrebbe cambiare.

-È fin troppo semplice, per Garbine Muguruza, prendersi gioco della povera Magdaléna Rybáriková, meritevole di semifinale per aver battuto colei che, da lunedì prossimo, sarà numero 1 del mondo. Un’ora e quattro minuti di assoluto monologo, quasi quanto quello che domani si attende nella seconda semifinale maschile tra Federer e Berdych. C’è poco da dire sulla partita. La spagnola torna in finale ai Championships dopo due anni, quando, nel 2015, trovò all’atto conclusivo un’inspirata Serena Williams, che le diede, facile facile, un doppio 6-4.
La mia mente, folle e confusa, vola ad un giorno lontano, in cui un buffo uomo dagli argentei capelli si trova impegnato in una storica intervista.
Dal brusio, una frase appare nitida e chiara “Muguruza chi? Camila è mooooolto più forte”.
La storia andrà come tutti già sapete, ma questi sono solo dettagli.
-Lontano dagli sguardi profani di tifosi salutari che inutilmente incitano la beniamina Konta, scende in campo, per il doppio delle leggende, Martina Navratilova.
Sessantuno anni vissuti tra successi e battaglie extra tennistiche.
Nonostante tutto, in coppia con Cara Black vincitrice, il decennio scorso, di cinque Slam, sfodera, a ritmi blandi, il repertorio che sui campi dei Championships la fece trionfare nove volte.
È semplice, a tratti lampante. Una volée della Navratilova sessantenne vale più di tutti gli Slam vinti dalle attuali giocatrici in attività.
E non scherzo.

Nicola Corradi

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Nicola Corradi

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