Nella mia vita ho visto centinaia, anzi migliaia di partite. Nonostante questo, della sfida vista oggi, non ho trovato un filo logico. Il primo set della sfida dall’igneo preambolo, quella tra un Federer a caccia del primato mondiale ed un Kyrgios di ritorno sui prati che ne esaltano l’inventiva folle, prosegue accompagnato dalla sensazione, abitudinaria nei match dello svizzero, che Roger abbia tra le mani le trame dell’incontro. Nick non è in grado di leggere il servizio avversario, fatica nello scambio e sceglie sempre, con una tattica masochista, di attaccare sul lato destro dell’elvetico, che lo passa con sprezzatura calcolata. Vedo l’australiano stranamente in difficoltà, me ne domando il motivo pensando alle sue innate qualità che non hanno eguali all’interno dell’attuale panorama tennistico. I miei pensieri vengono zittiti e sbugiardati dall’assoluta competenza di un telecronista che, pronunciando con spiccato accento british, definisce Kyrgios un sopravvalutato, bombardiere che basa il proprio gioco esclusivamente sull’empio colpo di inizio gioco. Mi inchino al cospetto del suo immenso sapere e proseguo la visione in silenzio. Durante il tiebreak, dejavu di ogni match che i due si trovino a giocare, Kyrgios entra in stato di grazia, aumenta la percentuale di prime, fora il prato martoriato da una potenza incontrastabile, accelera di dritto con un movimento troppo ampio per poter essere efficace sul sacro verde, reso possibile grazie ad una velocità di braccio ed una torsione delle spalle che rendono unico il suo movimento. Si muove una frazione di secondo in anticipo, la mente vaga concependo soluzioni straordinarie. È un assolo di Nick che, rendendo Federer impotente (ossimoro del quale provo persino vergogna), chiude 7-2. L’incontro sembra incanalato in un meraviglioso assolo “Aussie”, che ormai scaglia pallate a profusione, fendendo l’aria con fondamentali pesanti ed imprendibili. Tutto prosegue secondo i piani, fino a quando, sciagurata, la ragione di Kyrgios vene meno. Quattro botte consecutive al servizio, che superano abbondantemente i 200 km/h. Quattro botte e quattro chiamate, che equivalgono a due doppi falli consecutivi con il quale mestamente consegna il break di vantaggio ad un Roger rinvigorito tutto ad un tratto. Sentendo il sapore della rimonta, Federer veste i panni a lui più congeniali, interpretando il demiurgo apollineo che brilla di luce propria incantando una platea ora in estasi. La combinazione tra questa situazione e la demotivazione australiana si traduce in un rapido 6-2 con il quale Roger porta la contesa al terzo. Si seguono i servizi secondo previsione, il tiebreak è la conclusione che tutti attendono. Nick lo inaugura con un rovescio in controbalzo con il quale trova un angolo stretto impensabile. Segue un attacco di Roger che Kyrgios arpiona in corsa trovando un passante di dritto da cineteca. Il saggio telecronista, che per tutta la partita si è divertito nell’esercizio della critica gratuita esclusivamente rivolta all’australiano, si trova per un istante in difficoltà nel dover descrivere due punti che hanno l’obbligo del commento. Esperto, però, esce dalla trappola e, coerente come pochi, intona un deciso “comunque ha un talento da primi 5”. Federer recupera con mestiere, giocando una riposta di rovescio, profonda e centrale, che su questi campi è veleno distillato. Un errore di Kyrgios gli consegna le porte della gloria e nemmeno un dritto inspiegabilmente mancato gli impedisce la conquista del successo. Finale a Stoccarda e ritorno al numero 1 del mondo, posizione che lui e Nadal si scambiano come fosse una figurina. Il ritorno di Roger è nuovamente vincente.
I sacri manti infondono nuova vita ai sempiterni arti del Vate.