Fuga di campioni

L'Italia non è un Paese per professionisti: salvo rare eccezioni, i circoli italiani non offrono tutti gli strumenti per formare al completo tennisti competitivi ad altissimi livelli. Per questo Pennetta, Fognini e Errani hanno scelto di allenarsi altrove. Ma non mancano le eccezioni...

Pezzo pubblicato nel blog Il Mondo del Tennis di Federico Bazan

Più una città è grande e tendenzialmente maggiori saranno le risorse a disposizione (strutture, impianti ed attrezzature). Le grandi metropoli come Roma, ad esempio, offrono una vasta gamma di circoli, campi e scuole tennis. Pensiamo ai nomi più rinomati della capitale, tra i quali il Foro Italico che per storia, tradizione e locazione, si conferma l’impianto tennistico più famoso di Roma e non solo; il Tennis Club Parioli che in passato sfornò campioni straordinari: Uberto De Morpurgo, Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta e, ancora oggi, vanta grandi giocatrici tra le quali Roberta Vinci; il Circolo Canottieri Aniene che, oltre ad essere uno dei più antichi circoli della capitale, dispone di atleti altamente professionali come Simone Bolelli e Flavio Cipolla; il Tennis Club Eur, la cui scuola tennis è gestita, tra gli altri, da Corrado Barazzutti; il Sant’Agnese che, un tempo, accoglieva alcuni maestri dell’Accademia americana di Nick Bollettieri e via dicendo…

Se all’epoca i campioni italiani emergevano, oltre al talento e all’allenamento, anche grazie al prestigio dei circoli della propria città (ricordiamo, per esempio, Adriano Panatta, figlio del custode del Tc Parioli, luogo simbolo della crescita tennistica di Panatta stesso), oggi le cose sembrano essere cambiate. Non è più come un tempo dove si giocava al circolo sportivo del vicinato e si decideva di intraprendere la strada del professionismo. Il tennis odierno richiede maggiori investimenti, molti più spostamenti, uno staff completo, composto da diverse figure professionali che seguano il giocatore da vicino in tutti i suoi aspetti: l’allenatore, il fisioterapista, lo sparring, il preparatore atletico, il personal trainer e il manager, colui che si occupa dell’immagine, della comunicazione e degli sponsor dell’atleta. L’assenza di una o più figure di questo tipo, può incidere sul rendimento del giocatore ed ecco perché, oggi più che mai, un professionista ha bisogno di molte attenzioni, proprio per evitare di incappare in problemi di diverso genere. Nel circuito internazionale le trasferte sembrano esser diventate la regola per tutti i professionisti, non solo nei tornei e nei campionati a squadre che si disputano durante l’anno, ma anche per dei semplici allenamenti.

Se scoprissimo le diverse realtà delle tenniste italiane del circuito WTA e dei giocatori azzurri del circuito ATP, ci accorgeremmo come, la maggior parte di essi, tranne rare eccezioni, nascano in città diverse dalle grandi metropoli come Roma, Firenze, Milano, Napoli, Bari e Palermo. Pensiamo a Fognini, di Arma di Taggia, Bolelli, di Budrio, la Errani di Massa Lombarda, la Pennetta di Brindisi ecc.

Ognuno di loro è nato in contesti, sotto un certo punto di vista, “limitanti” in termini di disponibilità di circoli sportivi. Per esempio Fabio Fognini, che proviene da una realtà piuttosto piccola come Arma di Taggia, ha compiuto un grande salto di qualità andandosi ad allenare a Barcellona e scegliendo come allenatore Josè Perlas; come lui, anche Flavia Pennetta che, dopo la decennale intesa con Gabriel Urpi, ha visto in Salvador Navarro una fonte di crescita e di miglioramento; ancora, Sara Errani, con Pablo Lozano, trasferitasi dapprima a Barcellona, poi a Valencia; Simone Bolelli, grazie alla collaborazione con Giancarlo Petrazzuolo e alla preparazione presso il centro federale di Tirrenia; Camila Giorgi come Bolelli a Tirrenia ecc.

I grandi campioni del tennis italiano hanno dovuto dunque prendere delle decisioni a livello di spostamenti e di ricerca di strutture adeguate. Per puntare al massimo, alcuni di loro hanno lasciato la propria città per trasferirsi in un’altra o nelle grandi accademie, in Spagna e negli Stati Uniti.

Una riflessione sorge spontanea. Salvo centri federali come Tirrenia e simili, l’Italia è un Paese in grado di offrire prospettive interessanti per gli agonisti? In altre parole, è realmente indispensabile per un potenziale campione, lasciare il proprio Paese e la città natale per andare fuori e trovare il contesto di cui ha bisogno?
Il dilemma della questione è: perché non restare in Italia? Circoli e scuole tennis non all’altezza? Investimenti insostenibili per le famiglie? Disponibilità di campi limitata? Un insieme di questi fattori?

I casi sono tanti e i motivi molteplici. Senza dubbio, bisognerebbe interrogarsi su come mai, molti degli atleti italiani, tra cui alcuni dei tennisti professionisti, lascino l’Italia per trovare maggiore fortuna all’estero. Molti di loro lo fanno per scelta personale, spinti dallo stimolo nel trovare strutture, squadre e allenatori che soddisfino le loro esigenze.

Non mancano tuttavia i casi di tennisti che hanno scelto di trasferirsi entro i confini italiani e hanno avuto un buon successo. Per esempio è il caso di Corinna Dentoni che ho personalmente avuto il piacere di intervistare. Alla domanda: “A proposito di piccole realtà come Pietrasanta… credi sia indispensabile per un talento emergente, magari cresciuto in un comune piuttosto che in una grande città, trasferirsi in un contesto di più ampio raggio, come può essere un circolo di una metropoli o una delle note scuole tennis riconosciute a livello internazionale, affinché trovi la chiave del successo? Qual è stata la tua scelta a riguardo?”

Questa è stata la sua risposta: “Penso che non sia importante tanto dove ti alleni, quanto con chi ti alleni. La provincia di Lucca conta numericamente più campi da tennis rispetto alla media del resto d’Italia; quello che manca è una struttura attrezzata e il tennis non lo si vive in maniera professionistica pensando alla crescita dell’atleta, ma più come uno sport dilettantistico. Io mi sono trasferita a Milano e lì ho trovato il contesto di cui avevo bisogno” .

Anche il racconto di Stefano Travaglia è piuttosto indicativo di come, seppur a breve distanza dalla propria terra, il trasferimento di un professionista su altri campi sia necessario: “Ad un certo punto bisogna prendere una decisione; io la mia scelta l’ho fatta a 15, quasi 16 anni, andandomi ad allenare a Jesi, città ad un’ora e mezza da casa mia, dove vi era la migliore accademia di tennis delle Marche di quei tempi, 2007/08”. Due testimonianze, quella della Dentoni e di Travaglia, che lasciano intendere quanto una singola scelta di trasferimento comporti dei sacrifici che un professionista è tenuto a fare per trovare la chiave del successo.

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  1. Un bell’articolo che fa riflettere sui problemi del tennis italiano. Partendo dalle due pubblicita’ che girano ora su supertennis. Una con lo slogan ” vieni a lavorare gratis al Foro Italico….” che lascia molto pensare sulla buona fede e competenze delle persone che organizzano il Torneo piu’ importante d’italia. La seconda e’ quella che vuole far passare il messaggio che i circoli possono svolgere lo stesso ruolo dei centri federali (che in Italia non esistono, perche’ Tirrenia non e’ nato con tale scopo) e preparare ragazzi al professionismo. Punto questo su cui la federazione insiste gia’ da almeno dieci anni e chi ha fatto la scuola maestri in tali anni puo’ confermarlo, perche’ durante le lezioni hanno sempre insistito su questo argomento in maniera esplicita. Solo un esempio il Ct Eur con Barazzutti non si e’ rivelato un gran bell’esperimento con ripercussioni negative sul circolo e sulla scuola tennis. Questo non per colpa sua ma perche’ semplicemente i circoli e il professionismo hanno esigenze diverse e difficilmente possono convivere, tranne in alcuni casi rari. Unica soluzione e’ che la FIT costruisca almeno 3 Centri Tecnici, sud/centro/nord, altre soluzioni sono solo scorciatoie.

  2. Secondo me l’articolo affronta la “seconda” problematica del tennis agonistico in Italia… perché prima di diventare o aspirare a diventare Pro, con scelte a volte esterofile, il primo step è creare i presupposti per avere un bacino di giocatori futuribili.
    La politica della Fit d’investimento sui giovani è praticamente inesistente e poco efficiente, la possibilità di accedere dal punto di vista economico, a questo sport è per molti proibitiva, la carenza di strutture vs gli altri paesi è imbarazzante , l’obbligo di associazione a costosissimi club per poter partecipare a qualsivoglia torneo di qualsivoglia categoria tagliano già all’inizio la possibilità a molti di potersi affacciare al tennis agonistico…. E poi diciamocela tutta i club sono il grande male del ns tennis, piuttosto che valorizzare e seguire i giovani danno priorità a cene e tornei sociali…. Non Esistono, o quasi, campi comunali che permetterebbero un primo contatto con questo sport come avviene invece in molti paesi…. Speriamo quindi che una cicogna riesca ad oltrepassare le Alpi Svizzere e “atterri” nel Bel Paese

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