L’ultimo, ennesimo, grido d’allarme lo ha lanciato Mats Wilander, a metà luglio: “Il tennis è sempre più uno sport di quantità che di qualità“, ha dichiarato. L’indice del campione svedese, ora autorevole opinionista di Eurosport, è puntato sulle accademie che oramai vanno dritte verso una precisa direzione: programmare atleti in grado di colpire forte. Sempre più potenti e meno fantasiosi, insomma. E se per quanto riguarda l’aspetto della spettacolarità, della tattica, della varietà dei colpi, il futuro appare cupo nel maschile, che dire del circuito Wta nel quale la monotonia è già realtà? Per ritrovare un match giocato da entrambe le parti a tutto campo, occorre tornare indietro di quasi un anno e mezzo, quando ai quarti di finale in quel di Doha, Roberta Vinci e Agnieszka Radwanska esposero un saggio di tennis che verrà ricordato a lungo. Centouno discese a rete, attacchi in controtempo scanditi da guizzi di una eleganza regale. Volée su passanti violentissimi, delicate stop volley e demi volée, lob chirurgici che si stampavano sulla linea di fondo. Forza e carezze, fatica fisica e mentale. Sì, perché, pensare, anticipare le mosse dell’altra, interpretare le geometrie del campo centimetro per centimetro, e non solo per linee perimetrali, sollecita i muscoli quanto la testa.
Da quel 23 febbraio 2016 tanto è cambiato nelle gerarchie del tennis femminile. A cominciare dalle protagoniste di quel match probabilmente irripetibile perché disputato da due rappresentanti di un tennis che alle ragazze non viene più insegnato. Aga Radwanska patisce sempre più le giocatrici dal braccio atomico e Roberta Vinci, dopo una stagione fin qua complicata e avara di risultati è scivolata alla trentasettesima posizione del ranking. Tornando alla questione sollevata da Wilander, perché non lavorare nelle scuole anche per coniugare quantità e qualità anche tra le future campionesse (tutto ciò esula, ovviamente) dal rientro a pieno regime nel circuito di Petra Kvitova, Victoria Azarenka, Maria Sharapova e Serena Williams) e scongiurare l’estinzione del bagaglio incarnato oggi dalle Vinci, Radwanska, Bacsinszky, Schiavone, Rybarikova? Proprio quest’ultima a Wimbledon ha messo a nudo i limiti della nuova numero 1, Karolina Pliskova, data forse precipitosamente tra le favorite del terzo Slam dell’anno per via di una maggiore maturità. La cosa, in realtà, ha una chiave di lettura differente: anche la numero 1 può perdere se il tabellone riserva una avversaria che sa approfittare di una giornata in cui le fucilate non sono precise, della difficoltà nei movimenti laterali, della modesta capacità di posizionarsi a rete e eseguire le volée classiche. Repertorio che invece Magdalena Rybarikova possiede. D’altro canto, sta diventando noioso assistere a incontri combattuti a suon di missili che alla fine si riducono a gare a chi la butta meno fuori, quanto a soporiferi scambi tra ribattitrici il cui raggio d’azione dei piedi va dai teloni alla linea di fondocampo.
Monica Tola