Adesso che è successo e non una sola volta, sembra tutto così facile, così ovvio, così scontato. I piedi dentro il campo e il rovescio “coperto” (come si diceva una volta), l’anticipo e di conseguenza l’abbreviazione sia dei tempi (per gli avversari) che degli scambi. Adesso ognuno ha la sua spiegazione per questo che, in fondo, altri non è che l’adattamento tennistico del celebre “uovo di Colombo”. Bastava fare così! E chissà perché non ci ha pensato prima? Chissà perché nessuno gliel’aveva mai detto? C’era proprio bisogno che arrivasse Ivan Ljubicic per fargli rovesciare letteralmente il pessimo rapporto tecnico-tattico (e quindi mentale) che aveva nei confronti di uno tra i suoi più importanti avversari, se non il più importante?
Naturalmente, per chi non l’avesse capito, sto parlando di Roger Federer e cercando una spiegazione razionale alle prestazioni che gli hanno fatto mettere in bacheca i trofei di Melbourne, Indian Wells e Miami. Per farmi aiutare da chi è più esperto, ricordo che Federico Ferrero, voce di Eurosport e “penna” di Tennis Italiano, scrisse, in un articolo successivo al 18° slam dello svizzero, di aver ricevuto un sms da parte di Ljubicic il giorno prima della finale australiana nel quale era scritto qualcosa tipo: “Io ci credo, se ci crede anche lui è fatta”. Dove lui era riferito ovviamente a Roger. Quindi, riducendo tutto all’osso, era solo questione di crederci? Di credere che l’unico modo per battere Nadal fosse ciò che ho premesso nelle prime righe di questo pezzo? O forse il merito del croato è stato quello di farsi ascoltare, di essere convincente, come pare che lo stesso Federer abbia ribadito in una recente intervista. Certo, dopo la felice esperienza con Stefan Edberg e alla soglia delle 35 primavere, lo svizzero poco più di un anno fa scelse di affidarsi alle cure dell’amico ed ex-avversario Ljubicic consapevole sì di aver ancora qualcosa da dare ma forse non sapendo quanto grande fosse questo “qualcosa”.
Peraltro, cosa poteva ancora chiedere a se stesso e agli altri uno come Federer? Era lecito attendersi ciò che poi è successo? Troppe domande per chi, come noi, ha bisogno soprattutto di risposte. Risposte che invece sembrava avere proprio Ivan Ljubicic, anche quando il tennis lo commentava dai microfoni di SKY Italia. Con ogni probabilità il croato è stato l’uomo giusto al momento giusto e, anche grazie a una serie di fattori concomitanti, ha saputo trovare la chiave per aprire quella porta che fin qui l’elvetico non aveva mai voluto nemmeno avvicinare. Ivan Ljubicic ha avuto una carriera da giocatore di assoluto prim’ordine, con un best-ranking di n°3 ottenuto il primo maggio 2006, proprio dietro a Federer e Nadal. Per chi non lo sapesse, era un tennista dotato di due colpi eccellenti (servizio e rovescio, a una mano) e un dritto poco lavorato, con qualche limite negli spostamenti (anche a causa della ragguardevole altezza). Quando ha smesso di giocare (il 15 aprile 2012 a Montecarlo, sconfitto da Dodig) ha continuato a seguire il tennis ricoprendo diversi ruoli: agente, commentatore e infine allenatore, prima di Raonic e, da gennaio 2016, di Federer. Il sodalizio con lo svizzero iniziò sotto i migliori auspici in quanto, nei primi sei mesi della passata stagione, prima la schiena poi il ginocchio tormentarono Roger tanto da limitarne l’attività e condizionarne il rendimento. Tuttavia, pur giocando poco, Federer raggiunse la semifinale sia a Melbourne che a Wimbledon, dove perse solo al quinto set con Raonic. Poi, qualche giorno dopo, arrivò l’annuncio: lo svizzero avrebbe saltato tutto il resto della stagione e sarebbe tornato solo nel 2017. Per molti quella fu l’anticamera della pensione. I malanni alla schiena e al ginocchio, il richiamo della numerosa famiglia e l’accumulo delle primavere aveva fatto desistere Federer persino dalla partecipazione al torneo olimpico, a cui lo svizzero teneva tantissimo. Ecco, era stata quella rinuncia a far temere che il tempo di Roger, come quello delle mele, fosse finito per sempre.
Invece. Invece quei sei mesi di inattività sono serviti a ritemprare Federer nel fisico e nella testa, a fargli prendere ancora più confidenza con la nuova racchetta e a fargli “sentire” che quell’attrezzo dall’ovale maggiorato lo avrebbe aiutato non poco a mettere in pratica i consigli del coach croato. Come insegna Serena Williams (altra classe ’81), a una certa età le pause prolungano la vita agonistica e ti restituiscono al campo ogni volta con maggiore freschezza e voglia di combattere. Il “Ljubo” ci credeva fin dallo scorso anno (“Quando segui uno come Federer devi puntare al massimo: Roger è ancora in grado di vincere major e grandi tornei” disse al momento del suo insediamento) e, tra gli altri, un suo grande merito è stato quello di saper accompagnare Roger nell’arida steppa dell’inattività e trovare la maniera, proprio come per il protagonista del romanzo di Hesse, di mantenere la leggerezza di spirito senza tuttavia dimenticare di saziare la parte selvaggia e famelica che è in ciascuno di noi. A un’altra leggerezza, quella che gli consente di volare sul campo, hanno poi contribuito Pierre Paganini e lo staff medico e a quel punto, con il nuovo anno alle porte, mancava solo la verifica del campo. Preso atto, con gli 8.000 sugli spalti ad assistere al suo primo allenamento in quel di Perth, che il feeling con il pubblico era rimasto intatto, Federer ha saggiato le proprie condizioni partecipando alla Hopman Cup prima di affrontare gli Australian Open “senza alcuna particolare aspettativa”.
Qui entrano in scena le circostanze di cui accennavo in precedenza, ovvero la volontà degli organizzatori di Melbourne di velocizzare le condizioni di gioco e la contemporanea caduta dei grandi favoriti del torneo, ovvero Murray e Djokovic. Ma i conti, nello sport, si fanno con quelli che ci sono e non essersi trovato sul proprio cammino i primi due della classe nulla toglie alla grandezza dell’impresa di Federer, capace di vincere tre degli ultimi quattro incontri al quinto set, compresa la favolosa finale contro Nadal. E se serviva una conferma che di vittoria non casuale si era trattato (soprattutto dopo la distrazione con Donskoy a Dubai), lo svizzero l’ha data nel coast-to-coast americano dove il tutto si è fatto più lento, caldo e umido ma Federer ha rigirato il coltello nella ferita di Nadal oltre a ribadire le sue (spesso a torto) fin troppo minimizzate qualità di agonista e lottatore. Adesso Roger Federer si riposerà e molto probabilmente non metterà piede sulla terra rossa allo scopo di preservarsi per l’erba e la seconda parte della stagione, quella che condurrà alle Finals di Londra. Salvo imprevisti, a Wimbledon sarà l’uomo da battere e questo, se ci pensiamo bene, è un altro piccolo miracolo a cui in pochi credevano davvero. Tra questi pochi, Ivan Ljubicic. Come dire: il rovescio della medaglia è diventato quasi migliore del dritto.