Correva il 13 Maggio del 1973 ed a Ramona, piccola città californiana, si scriveva la storia del tennis mondiale. Dopo mesi di attesa e preparazione si sfidavano, in diretta nazionale, Bobby Riggs, ex tennista professionista allora cinquantacinquenne, vincitore di Wimbledon e due volte campione agli US Open, e Margaret Court, numero 1 del mondo e fresca vincitrice degli Open di Francia.
L’americano non aveva dubbi “anche un uomo della mia età può battere facilmente la migliore donna al mondo”.
Bobby, rispetto a quanto si pensasse, arrivò all’incontro atleticamente preparato e tatticamente lucido. Tra lob dilettantistici e palle corte improvvisate, il match dell’ex campione pareva, a lunghi tratti, un’esibizione circense, pensata e studiata per mettere in ridicolo la sua impotente avversaria. Non ci fu storia. Riggs si impose con il netto punteggio di 6-2 6-1, dando un forte smacco alla credibilità del tennis femminile.
Quattro mesi dopo Billie J. King, paladina per la lotta dovuta ai diritti destinati alle donne nonché massima figura a livello mediatico che il circuito in gonnella potesse vantare, accettò la nuova sfida di Riggs. Il 20 Settembre 1973, dunque, all’interno di uno Houston Astrodome gremito fino all’orlo, si disputò la battaglia dei sessi più acclamata, celebrata ed attesa con straordinario fervore. Billie J., a differenza della collega Court, studiò tempo prima il suo avversario, individuandone, come logico punto debole, la poca resistenza fisica. Di fronte a 30’000 spettatori, fusi ad un pubblico di 50 milioni di persone che seguivano l’incontro dalle reti internazionali, la King sfoderò il suo tipico tennis d’attacco, costringendo Riggs ad un continuo serve and volley per lui innaturale e sin troppo dispendioso. Terminate le energie, l’americana iniziò un lungo e forzato palleggio, mettendo così in ridicolo l’esausto sfidante. Dopo più di due ore di partita, Billie J. si impose con il punteggio di 6-4 6-3 6-3.
Con un risultato del genere, inaspettato quanto grandioso, il circuito stesso riuscì, in maniera concreta, ad acquisire una nuova consapevolezza, iniziando così un lento percorso che ha poi portato ad una parificazione di occasioni e montepremi tra l’ATP e WTA, fondata proprio quell’anno da un gruppo di tenniste capeggiate dalla stessa King.
Erano anni ricchi di novità e, per un certo periodo, le allusioni all’epico scontro vennero messe da parte. Nel 1992, però, Jimmy Connors e Martina Navratilova diedero vita al terzo scontro di genere. Vista la poca differenza di età tra i due (40 per Jimbo contro i 36 di Martina), alla mancina di Praga venne concesso il lusso di poter colpire anche i corridoi, mentre Connors venne autorizzato ad usufruire di un solo servizio disponibile. Dopo un primo set apparentemente tirato, Jimmy ebbe vita facile, imponendosi con il punteggio di 7-5 6-2.
All’Australian Open del 1998, protagoniste di una nuova battaglia furono Serena e Venus Williams, all’epoca rispettivamente diciottenne e diciannovenne, colpevoli di aver sostenuto, in una conferenza stampa di poco tempo prima, la loro possibilità di battere un collega uomo piazzato intorno alla duecentesima posizione mondiale. Opposto alle sorelle si trovò, su un campo secondario non coperto dalle telecamere, il tedesco Karsten Braasch, numero 203 del mondo. In quel quadro così lontano il trentunenne giocò due set contro le Williams, uno con ognuna. Iniziò con Serena, che umiliò con un rapido 6-1 rendendosi protagonista di disinvolti cambi campo, durante i quali fumava sigarette e beveva birra.
A Venus andò poco meglio, vincendo un game in più e chiudendo 2-6.
Un tedesco di 31 anni, giocando un tennis a tratti comico, aveva messo a tacere l’arroganza delle giovani sorelle Williams, decretando il definitivo verdetto della famosa “battaglia dei sessi”, che troverà, in questo match, la sua più logica e giusta conclusione.