Il tennis boccheggia, e la colpa non è dell’afa che incombe: la famigerata pandemia ha avuto il letale effetto di spingere lo sport della racchetta -al pari degli altri- con la testa sott’acqua, ed il malcapitato ora annaspa nel tentativo di tornare a respirare in qualche modo, prima che sia troppo tardi. Come sempre in casi del genere le risposte all’emergenza sono caotiche, con singole iniziative estemporanee (tipo Adria cup, tanto per non far nomi) che alla resa dei conti si concretizzano nel classico “rimedio peggiore del male”. Evidente che, ciascuno il quale provi a muoversi in qualche modo, lo faccia animato da intenti assolutamente positivi ed apprezzabili: ma tutto ciò, da solo, non costituisce (e non può costituire) garanzia di riuscita. D’altronde, è pure vero che non è ancora possibile una risposta organica e coordinata da parte degli organi superiori -leggi Atp soprattutto, e Federazione internazionale che peraltro da un bel pò conta quanto il due di briscola-, in presenza della incertezza che tuttora regna su come evolverà il maledetto Covid 19: segnatamente sulla possibile recrudescenza del fenomeno, e la sua incidenza ancor forte in determinate zone geografiche. Insomma, un casino bello grosso, a dirla con un’espressione non elegante ma sicuramente efficace. C’è bisogno di idee, e ben venga dunque chi le esprima: può darsi che, nel mucchio selvaggio, alla fine spunti quella buona: o meno cattiva…
Animati da tale intento, allora ci proviamo pure noi a dare uno spunto, quanto meno di discussione: partendo dal presupposto che già una buona parte di stagione se n’è andata, con qualche pezzo da 90 che da subito ha alzato bandiera bianca dando appuntamento al 2021 (un nome per tutti: Wimbledon), ed altri che ‘resistono’ procedendo ad una non semplice riprogrammazione -anche qui ci limitiamo a citare l’esempio più eclatante che è Parigi, aggiungendo per simpatia l’amato Foro Italico-. Al momento questi ultimi eventi scorgono una prospettiva moderatamente ottimistica, per come sta evolvendo la situazione nella cara vecchia Europa: ma non è detto, fino all’ultimo. Il problema vero, incombente, è che fra non molto dovrebbe prendere il via lo ‘swing’ nordamericano, col clou costituito dagli Us Open: ma da quelle parti le cose non stanno andando un granchè bene (eufemismo). Ed allora partiamo con quelle che, secondo il nostro modesto parere, sono due certezze: la prima -tenetevi forte- è costituita dal fatto che in quella parte del mondo non si potrà giocare. E la seconda, diretta conseguenza, è che occorre in tutti i modi metterci una pezza.
Bene, argomentiamo in merito all’aspetto numero uno. Le notizie che arrivano da New York e dintorni non sono incoraggianti, le vediamo ogni giorno dai telegiornali: persino il gran capo Donald, dopo aver minimizzato per settimane se non mesi, ha cominciato a girare con la mascherina, ed infuria la polemica fra politica e scienza. E’ realistico affermare che a tutt’oggi non ci siano le condizioni per accendere le luci di Flushing Meadows, anche perché ogni giorno se ne inventano una nuova giocando al -necessario- ribasso: niente spettatori, accompagnatori e staff dei giocatori a casa, ora anche gli organi d’informazione lasciati fuori. Ammettiamo pure che alla fine il circo, per quanto ridotto ai minimi termini, si metta in moto: ve lo immaginate l’enorme centrale nel bel mezzo del Queens desolatamente vuoto? Una tristezza assoluta, anche perché al Roland Garros già si parla della possibilità di avere comunque una discreta fetta di pubblico, adeguatamente distanziato. Eppure, questo non sarebbe ancora il peggio: già, dato che il medesimo si va concretizzando ogni giorno di più con la rinuncia di questo o quel giocatore, che non se la sente di rischiare. Assieme ai ‘rumours’ sempre più forti dei big che sarebbero intenzionati a dare forfait (l’ultimo della serie è Nadal, non so se mi spiego). Eh no, parafrasando il don Rodrigo di manzoniana memoria “questo torneo non s’ha da fare”, e prima o poi gli organizzatori saranno costretti a farsene una ragione…
Delineato tale quadro a fosche tinte, converrete non per colpa nostra, passiamo alla fase due: in che modo si rimedia? Una maniera ci sarebbe, considerando -come precisavamo sopra- che in Europa le cose paiono, attualmente, andar leggermente meglio. Quale? Prendere di peso, e tenetevi più forte di prima, i due Master (Canada e Cincinnati) più l’ultimo Slam dell’anno, e farli atterrare nel vecchio continente! Obiezione: non sarebbe la stessa cosa. Risposta: sicuro, ma sempre meglio di chiudere del tutto bottega. Altra questione: e dove? Qui deve battere un colpo, anche due, l’Atp, favorendo tramite i propri buoni uffici una soluzione. Che potrebbe essere, rispettando le dimensioni dei singoli eventi (i quali certo tornerebbero partecipati da tutti i giocatori, rinfrancati dal rischio meno pressante): magari Montecarlo e Madrid per i due 1000, Parigi per lo Slam -non prendiamo in considerazione Londra, lassù le novità provocano l’orticaria, si sa-. Mantenendo, ovvio, formalmente ciascuno il proprio marchio doc. E qui l’avvocato del diavolo torna a farsi sentire: sì, ma tutta terra rossa? No caro dottore, perché non dovrebbe volerci molto ad occhio e croce per trasformare i campi in veloci (magari non tanto quanto gli originali, ma insomma…), mediante l’apposizione di specifici tappeti: in Italia ci sono aziende specializzate che costruiscono le piste, e le superfici di impianti sportivi in genere, dovunque nel mondo, sai quanto poco ci metterebbero -pure allettate dalla consistenza dell’impresa, e dal ritorno in termini d’immagine-.
Chiaro che ci vorrebbero un bel po’ di soldini, ma questo è l’ultimo dei problemi nel tennis: per buttarne là una, nel caso si dimezzano i montepremi dai quarti di finale in su (tanto a dividerseli sono grosso modo i soliti noti, un milione di dollari in più o in meno non fa la differenza rispetto alla prospettiva di giocare, ed in condizioni -quasi- normali), ed ecco che le risorse si trovano. In tal maniera si salverebbero gli eventi originari, con tutto il giro di bigliettoni annesso (sponsors, per i quali la copertura televisiva costituisce l’atout principale; e pure il botteghino, che frignerebbe un po’ sì, ma senza pianti disperati); e poi le nuove locations non lo farebbero gratis, ma tramite una sorta di… canone per la locazione della struttura. Da individuare date e tempi, per far sì che ci sia spazio per far tutto: nel caso francese, anche il Roland Garros ‘vero’. Ma qui entrano in ballo massicciamente quelli che detengono le leve del potere tennistico, allo scopo di dar corso agli aspetti, come dire, tecnici: sarà un problema, con tutti i grandi manager che prosperano nelle specifiche strutture? Insomma, noi lanciamo l’idea ‘grezza’, alla realizzazione -eventuale- demandiamo chi di dovere. Ah, aspetto non secondario: ci guadagnerebbero tutti, ma proprio tutti. Gli atleti, che giocherebbero in pressochè totale sicurezza; il pubblico, che non ne può più della latitanza forzata di grandi avvenimenti tennistici; gli organizzatori delle sedi originarie, che non perderebbero tutto il malloppo; gli organizzatori locali europei, con ulteriore vetrina sui propri impianti (e congrua prebenda per il disturbo); l’ambiente del tennis in generale, che mostrerebbe al mondo intero doti di concretezza ed elasticità mentale.
E poi (ebbene sì, diciamocelo francamente) pure noi scrivani, o scribacchini per non darci troppe arie, della racchetta: che finalmente avremmo modo di tornare a parlare di questioni tecniche ed agonistiche, piuttosto che arrampicarci sugli specchi pur di inventarsi qualcosa da raccontare…