Dustin Brown of Germany in action during a practice session with Gael Monfils of France at the Australian Open, 2014
A Parigi il caldo assale i poveri spettatori, costretti a sorbirsi l’osceno spettacolo della quadrumane Su-Wei Hsieh che si beffa di Johanna Konta, testa di serie numero 7 incapace, da anni, di esprimersi degnamente sulla terra battuta.
La situazione non sembra migliorare. Sul Suzanne-Lenglen Stan Wawrinka amministra le effimere resistenze dello slovacco Jozef Kovalik e Caroline Garcia irride Nao Hibino, trovatasi per caso su un campo da tennis.
Le povere anime rimaste sugli spalti, molte svenute o colte da fulminante catalessi, implorano pietà. Il programma del giorno, però, dice che come quarto match, su quello stesso campo, Brown e Monfils si sfideranno per la prima volta in carriera.
Le premesse sono delle migliori. I giocolieri per eccellenza, seppur su un manto a loro indigesto, dovrebbero illuminare l’assopita platea.
Il francese, più esperto, cerca invano di non farsi coinvolgere. Palletta (pregevole termine tecnico), alza improbabili traiettorie, annoia. Dustin Brown, che come unico dogma ha l’insensatezza, non vuole stare al gioco. Inventa, accelera, sbaglia a dismisura. Pur di non sottostare alla monotonia del terreno vermiglio si prodiga in piogge di doppi falli e gratuiti.
Il cuore di Monfils, regolarista colto da sincopi di totale schizofrenia, lo porta, di tanto in tanto, ad accettare il teatro. Tweener e palle corte, tagli e taglietti, deliri di fisica potenza volutamente giocati per divertire i presenti.
Non è stata, in realtà, una continua commedia. Dopo i primi due set l’atipico tedesco sceglie di interrompere il gioco.
Brown è in campo ma non controlla la palla.
Termina 6-0 il terzo set, Monfils e Dustin si abbracciano soddisfatti, consapevoli che solo qualche punto della loro funambolica rappresentazione del tennis, valga più di tutti i successi, Slam e non, di Murray e la Kerber.
Un’interessante prima volta.
Sperando che, per il puro sollazzo estetico, non sia anche l’ultima.
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