Le figlie e i papà-coach: il rischio dell’eccessiva pressione

La figura del padre-coach, a cui molte tenniste si sono affidate, nonostante i vantaggi che può portare, rischia di creare una pressione eccessiva e a volte insopportabile sulle spalle delle giocatrici.

di Alessio Baldacci

Non sono rari i casi di tenniste che nel presente e nel passato si fanno o si sono fatte seguire dal papà-coach. I casi più eclatanti sono quelli di Maria Sharapova (in passato), le sorelle Williams, Caroline Wozniacki, ma anche, per esempio, Andrea Petkovic, Sabine Lisicki hanno avuto come coach il padre e l’attualissima Belinda Bencic dove la figura del padre-coach è prominente, quasi invadente. Una tendenza che sembra che stia per scomparire ma che è ancora molto presente  nel panorama del tennis femminile. Nel tennis maschile invece,  fatta eccezione per lo zio Tony Nadal, non ci sono parenti che facciano da coach ai tennisti. Come possiamo spiegarci questo fenomeno?

La protezione naturale che i papà hanno nei confronti delle proprie figlie li porta a seguirle da juniores per poi continuare anche nell’età giovane-adulta, accompagnandole per tutto il circuito. Non è mia intenzione demonizzare questa pratica; una rete di supporto familiare è fondamentale per la crescita sana e per la serenità personale: le tenniste hanno una vita fantastica, girano il mondo, sono ricche, ma allo stesso tempo possono soffrire di solitudine, possono perdere la sensazione di “essere a casa” e la presenza di un genitore può far si che esse si sentano più in famiglia durante la lunga stagione. In diversi casi però la pressione del papà-coach ha creato non pochi danni, basti pensare ai casi eclatanti di Patty Schnyder, Jelena Dokic e a tutti quelli che “purtroppo” non si conoscono. Emblematico anche il caso di Timea Bacsinszky, che ha passato un’infanzia difficile con il padre che non permetteva che lei vivesse la sua vita se non su un campo da tennis.

Sono troppi i casi finiti “male” per colmare quelli finiti con grandi campionesse, e inoltre mi sento di dire che queste tenniste sono diventate delle professioniste non certamente per la presenza del padre sempre a bordo campo ma per il grande talento che le distingue. L’ideale sarebbe trovare un equilibrio fra l’essere di supporto alla figlia ma allo stesso tempo lasciare il lavoro del coach ad una persona esterna alla famiglia. Il rapporto che dovrebbero avere un padre e una figlia è completamente diverso dal rapporto che dovrebbero avere un atleta e un coach. Padre e coach devono supportare la figlia e tennista ma in maniera diversa e rispetto al proprio ruolo, per cui in linea di massima i due ruoli non dovrebbero essere mischiati.

Padri, quindi, seguite le vostre figlie, non le lasciate sole, supportatele nel momento delle sconfitte, gioite con loro nei momenti di successo, ma affidatevi a mani più esperte per curare l’aspetto tattico e tennistico, ne gioverà il gioco di vostra figlia ed anche il vostro rapporto.

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