Molti ne hanno parlato, motivo per il quale io, eterno polemista di bassa lega, non potevo proprio esimermi dal farlo. NextGen Finals, l’appuntamento che ha inondato Milano di tennis e rivoluzione, il torneo largamente sponsorizzato dalla Federazione e dall’ATP pensato e costruito con l’idea di regalare un po’ di popolarità anche ai futuri protagonisti del circuito, concepito, probabilmente, una volta in cui gli altissimi rappresentanti del circuito maschile si sono interrogati su quanto la loro organizzazione avrebbe perso, a livello economico, una volta avvenuto il cambio generazionale di cui da anni si sente parlare.
Si è tanto discusso, in questi giorni, riguardo le modalità e le regole con le quali l’appuntamento si è svolto, e le critiche da fare, in effetti, sono molte.
In primis, i patriottici mi perdoneranno, l’idea di assegnare una Wild Card ad un giocatore italiano, in questo caso Quinzi che l’ha ottenuta vincendo un mini tabellone di qualificazione al quale hanno partecipato svariati ragazzi azzurri, è stata fallace.
Il marchigiano era numero cinquantasei nella specifica classifica relativa agli under 21, e con questo metodo si è trovato a competere con i primi sette. Troppa la differenza e, nonostante questa gli sia senza dubbio servita come esperienza formativa per comprendere il ritmo di gioco con il quale i suoi coetanei hanno a che fare, ha portato, come prevedibile risultato, tre sconfitte in altrettanti incontri.
Irreplicabile l’idea di far terminare i set una volta raggiunti i quattro giochi, dove basta un solo break per compromettere il parziale. Con questo sistema di punteggio, tra i quali inserisco anche il punto decisivo sul vantaggio pari, si affievoliscono troppo le differenze di livello dei giocatori, con il rischio di vedere sempre più frequentemente exploit inaspettati che finirebbero per non essere più tali.
La geniale trovata di permettere al pubblico di muoversi e rumoreggiare duranti gli scambi deve essere categoricamente abolita, e l’ideatore costretto a subire passivamente la visione in slow motion di centinaia di servizi di Johanna Konta.
Diventa ipotizzabile, invece, inserire, anche nel circuito principale, l’orologio che cronometri i 25 (o 20 negli Slam) secondi che devono da regolamento intercorrere tra la fine di un punto e l’inizio del successivo, nonostante, ed in questo il mio tifo filo-Nadal non conta nulla, sia compito del giudice di sedia comprendere le dinamiche e le intensità degli scambi e capire quando sia possibile, o meno, lasciare qualche istante di respirazione in più ai giocatori.
Prezzi troppo alti, per concludere, non adatti ad un evento al debutto di questo tipo.
Nonostante svariati dettagli siano da correggere, o ancor meglio debellare (le regole di gioco, a mio modo di vedere, non dovrebbero in alcun modo essere modificate), alla fine dei giochi lo spettacolo offerto alla fiera di Rho è stato piuttosto gradevole.
Merito dei ragazzi, sia chiaro, che hanno interpretato la competizione come tale, senza cadere, come da molti inizialmente temuto, che i troppi cambiamenti trasformassero l’occasione in un’esibizione qualunque.
Gianluigi Quinzi, come già spiegato, è sempre parso un po’ fuori luogo, pur con prestazioni ottime, per i suoi standard, che gli hanno permesso di vincere qualche set con avversari decisamente più quotati. Manca però di spinta, pesantezza di palla, soprattutto di dritto, e lucidità tattica, ma nessuno mette in dubbio che, su questi aspetti, ci si possa ancora lavorare. Shapovalov è indubbiamente il più forte tra tutti, nonostante l’uscita nella fase a gironi. Donaldson ne’ bene ne’ male, piuttosto insignificante, nulla che, nella scuola americana, non si sia già visto e rivisto più volte. Khachanov ha grandi colpi e un fisico ottimo per tentare una carriera da top 10-15, alla Isner per intenderci, pur senza lo stesso gioco.
Coric tanto regolare quanto lontanissimo da tutto ciò che includa il brio, sfortunato per l’infortunio che non gli permette di finire il torneo.
Continuo a pensare che Medvedev sia sopravvalutato, ma soltanto il tempo sarà in grado di decidere se io, in questi mesi, abbia in realtà preso un abbaglio.
Rublev è una sorta di Ostapenko in versione maschile, con la differenza che la lettone, giocando in un circuito comico, ha già vinto un Slam e rischiato di raggiungere la vetta della classifica. Infine Chung, quello che più di tutti mi ha convinto. Lo ricordavo attaccante e lo ritrovo regolarista di spinta con i piedi due metri fuori dal campo. Grandissime gambe ma gioco che nulla a che vedere con i classici schemi asiatici di cui Nishikori si fa portavoce.
Otto ragazzi imbastiscono un torneo di tutto rispetto e forse, chi da tempo ha paura del futuro, ora lo teme un po’ meno.
2 comments
se si deve assistere ad un tennis per lo spettacolo con regole un cui non emerge il tennista puu forte ma spesso quello piy anche fortunato vado a vedere una pertita di ping pong o baminthon dai smettetela
nuove regole xhe agevolano i tennsti piu doboli dove il margine viene troppo ridotto con qyeste regole un tennista come isner o karlovic sarebbero nr 1 al mondo pensa xhe spettacolobe che tennisti di m