Inutile girarci intorno, il titolo recita chiaramente ciò che aleggia nell’aria da diverso tempo. Federer non sarà lontanamente favorito a NY. Vederlo in finale a Cincinnati disarmato contro Djokovic non ha fatto che confermare un’impressione che risale a diversi mesi fa. Ciò che ha preoccupato di più è stata la lentezza dei piedi, con la conseguente difficoltà negli spostamenti, proprio la mobilità che gli aveva permesso di dominare il 2017, danzando per il campo con una leggerezza irrisoria. Anche l’atteggiamento quasi arreso, nervoso, irrequieto mostrato ultimamente, non ha dato segnali confortevoli.
Dalla finale persa a Indian Wells contro Del Potro, alla sconfitta contro Kokkinakis a Miami, a quella sull’erba di Halle, al tonfo clamoroso con Kevin Anderson sui prati dell’All England Club, quest’anno non abbiamo mai veramente visto un Federer convincente ma soprattutto convinto.
Va però detto che pur non essendo al meglio ha raggiunto le fasi finali praticamente in ogni torneo a cui ha partecipato, dato non da poco vista la difficoltà di alcuni “top player” molto più longevi di lui a fare risultato nei tornei del grande slam (vedi Zverev). Questo rende ancor più straordinario quello a cui stiamo assistendo, a 37 anni competere in modo continuo a questi livelli ha dell’incredibile. Analizzando le partite dello slam Americano fin ora disputate, dopo un inizio in linea con l’analisi sopra riportata, soprattutto contro Paire dove si sono riviste tante risposte di rovescio affossate in rete e numerosi back poco aggressivi, sintomo di una leggera insicurezza da quel lato di campo che aveva fatto la differenza nella passata stagione, al terzo turno l’elvetico ha fornito una prestazione davvero convincente contro un avversario temibile e imprevedibile come Nick Kyrgios, battuto in 3 set con estrema scioltezza. Certo il ragazzone di Canberra non è il giocatore che ti mette in difficoltà mentalmente, solido, continuo e in grado di fronteggiare le fasi insidiose nascoste dentro ogni partita. Oltre ad alcune giocate deliziose, i cosiddetti “momenti Federer” come li chiamava David Foster Wallace, si sono visti tratti di lucidità ben auspicanti e anche una discreta concretezza nelle occasioni che si sono presentate per strappare il servizio a Kyrgios. Si corre sempre il rischio sia da tifosi che da addetti ai lavori di rimanere intrappolati in una visione polarizzata dalla logica vittoria del torneo/fallimento quando si parla di Federer, perdendo di vista la straordinarietà e l’importanza di ogni partita vinta, svalutando e dando per scontato prestazioni che di ordinario hanno ben poco.
Comunque rimane un ottavo di finale da giocare, contro l’australiano Millman sarà importante non consumare troppe energie e presentarsi ai quarti di finale nel migliori dei modi possibili visto l’incrocio nobile, nobilissimo presumibilmente con Novak Djokovic. Una partita che racchiude una storia, due atleti agli antipodi nell’interpretazione del gioco ma anche molto diversi emotivamente, una rivalità epica che Federer ha sofferto molto negli ultimi 5 anni su tutte le superfici. Inutile sottolineare come questo match sia la prova del 9 per testare le condizioni e le effettive chance di vittoria finale dello Svizzero. Dopo aver sentito uscire dalla sua bocca la perentoria parola: “ritiro” ogni attimo sull’Arturo Ashe ha un significato particolare, con l’impossibile tentativo di accettare che qualcosa sta finendo davvero ma con la consapevolezza che bisogna goderne il più possibile fin che si può.
Insomma lo ripeto, Roger Federer non è il favorito agli US Open, ma chissà….