Sembrava essere spacciato. Ma lui, spacciato, non lo è mai. Diciasettesimo Slam vinto in carriera, ottavo Australian Open.
Succede però una cosa strana, sulla quale mi vorrei fermare. Nonostante la folta comunità serba presente a Melbourne, il tifo è ancora una volta contro Djokovic. Badate bene: non a favore di Thiem, proprio contro Djokovic.
I motivi sono tanti. In primis l’atteggiamento poco gradito al pubblico, le continue lamentele con l’arbitro. Più di tutto, però, penso sia l’ennesimo Medical Time Out chiamato senza nessun apparente motivo valido ad irritare la platea, che osserva non solo dagli spalti, ma anche da milioni di monitor sparsi in ogni angolo del mondo.
Ciò detto, analizziamo il tennis.
Partenza sprint del serbo, nei primi sei giochi sembra impossibile intravedere una singola speranza di partita combattuta. Si muove semplicemente troppo bene, arriva su ogni palla in anticipo e disegna il campo con colpi millimetrici indirizzati sempre verso la riga più lontana. In risposta, poi, è un portento di balistica.
Il controbreak dell’austriaco è un fuoco fatuo. Nel momento di chiudere, la nuova zampata di Djokovic risulta decisiva.
Il secondo set, però, rivela una situazione strana. Nole inizia a rallentare. I fondamentali perdono precisione, pesantezza, fluidità. Invece del vincente arriva l’appoggio al centro del campo, poi addirittura l’errore. Dominic se ne rende conto ed approfitta.
Prende fiducia, spinge, scherza un paio di volte l’avversario con lob di rovescio calibrati alla perfezione. Si inizia a giocare come vuole l’austriaco, dall’altra parte della rete non c’è nessuna reazione.
Il punteggio scivola via. 6-4 6-2, secondo e terzo set archiviati dal più giovane tra i due.
Il quarto è una battaglia di nervi. Djokovic capisce di non essere superiore. Se vuole portare a casa questa partita deve cambiare tattica. Così prende meno rischi. Cerca la profondità, non più la riga.
La strategia paga, Thiem inizia a perdere le misure e gli errori si sommano uno dopo l’altro.
Ad inizio quinto set, l’epilogo appare scontato. Vincerà Djokovic, lo sanno tutti. È sopravvissuto e si andrà a prendere il trofeo. Non domina, però, non può permettersi di farlo.
Imposta semplicemente una velocità di crociera. Gli errori diminuiscono ed arrivano, piano piano, i regali di Thiem.
Questa è un successo di esperienza, non di tennis. Mi ricorda quello di Federer agli Australian Open di due anni fa.
Così sono i campioni. Alzano le braccia al cielo quando forse non lo meriterebbero.
Lo avevo immaginato e scritto, sarebbe stata una finale combattuta.
La vince il più esperto, il nuovo numero 1 del mondo.
Più aumentano i titoli, più aumenta il livore del pubblico mondiale nei suoi confronti.
Esattamente il contrario di ciò che succede agli altri due. Non può essere un caso.
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