Succede che d’improvviso, nel focoso Slam australiano, nessuno dei due carismatici numeri uno superi la prima domenica. Verrebbe logicamente da interrogarsi su possibili complotti studiati a tavolino, cataclismi, cospirazioni e tanto altro, ma io, barricato nella mia eterna ignoranza tennistica, non riesco proprio ad esserne stupito.
Questa mattina guardavo Andy Murray, vampirico catalizzatore di antipatia allenato a tal scopo dal perfido Lendl, che in disparte tesse le diaboliche trame.
Passivo, monoritmo, prevedibile. Dopo l’uscita della rapa Djokovic, il maledetto torneo sfuggitogli più e più volte sembrava essere ormai suo. È bastato invece un semplice Zverev, portatore a suo modo di un gioco scomparso, per mettere l’accento su sempre più evidenti pecche psicologiche che hanno visibilmente segnato la carriera dello scozzese.
Non è però su Murray, povero baronetto frustrato, che voglio soffermarmi.
Dopo qualche ora dall’inaspettata scossa è scesa in campo Angelique Kerber, deliziatrice di palati fini con la sua innata e caratteristica classe.
Sessanta minuti di terrore psicologico sono bastati alla massiccia Vandeweghe per chiudere la vicenda.
L’abominevole padellatrice (un po’ più della Muguruza, un po’ meno della Giorgi), posseduta dal demonio, ha schiacciato il terzino tedesco sui teloni pubblicitari, costringendola ad assumere, stabilmente in orrenda massima accosciata, le forme e le dimensioni di un geco, frastornato dalla miriade di pallate da cui è stato allegramente sommerso.
Costantemente in affanno, quasi piangente. Angelique è, al mondo, l’unica persona di origine tedesca capace di incutere nell’avversario lo stesso timore di una rana cieca e zoppa.
Abituati com’eravamo a Serena Williams, vincitrice di partite ancor prima di scendere in campo, siamo costretti ora ad assistere a questa tremebonda situazione.
Aspettando un numero uno degno di tale nome, non resta che rifugiarsi nell’aurea visione di un lontano match tra Gattone Mecir e Ivan Lendl, ipnotico e atarassico come non mai.
Inizia la seconda settimana, a risentirci.