Se spesso si rischia di ripetersi, a volte certi interrogativi possono aleggiare tra domande e risposte senza trovare una collocazione ben precisa nella nostra testa, così come in quella di chi, dollaroni sonanti a parte, deve decidere su ciò che riguarda il futuro.
Il futuro di cui stiamo parlando è quello della nobile arte del tennis che, tra conservatori ed innovatori, vede la solita pallina viaggiare di qua e di la dalla rete, con al centro della disputa due religioni pressoché inconciliabili.
Va detto che il continuo avvicendamento tra vecchie glorie e giovani rampanti non facilita il compito, con le autorità che si esprimono anche a seconda del vento che tira: il nostro paese può fare da esempio, con il “Progettone Campi Veloci e una tradizione fatta di terra rossa e panorami più o meno gradevoli.
Già, perché la questione, trattata già qualche tempo fa, aveva messo sul piatto due problematiche non di poco conto. Numero uno, in Italia non sappiamo vincere al di fuori del campo lento per eccellenza e, con il solo 27% dei punti dei circuiti maggiori che si gioca sulla terra, la situazione pare da bollino rosso. Numero due, le infrastrutture non sono adeguate per il tempo in cui viviamo, con la necessità di ammodernamenti e, di conseguenza, di investimenti: soprattutto nella parte meridionale della nostra penisola, ci sono pochissime possibilità di cimentarsi con un veloce indoor, lasciando le intemperie climatiche a fare da padrone per quanto riguarda preparazione fisica e tecnica.
La miseria di tornei sul veloce organizzati in Italia, poi, è la classica ciliegina su di una torta che fa sorgere non pochi dubbi sulla mole di lavoro da svolgere per raggiungere i livelli degli stati settentrionali dell’Europa, senza neanche prendere in considerazione i precursori d’oltreoceano e delle nuove provincie dello sviluppo globale (Emirati Arabi, Qatar ecc.).
Pensiamoci un attimo: se per le questioni prettamente politiche restiamo bloccati dall’attuale situazione governativa instabile, per le questioni sportive dovremmo semplicemente premere un po’ di più sull’acceleratore: nello sport N.1 (per introiti e spettatori) in Italia, ovvero il calcio, dai mondiali di calcio dell’ormai lontano 1990, tutto sembrava essersi congelato ed in questi ultimi anni si sta provvedendo ad incentivare, o almeno a provarci, la costruzione di stadi moderni, oltre a cercare di inserire la semplice partita domenicale in un contesto più ampio volto a sviluppare marketing e merchandising, oltre alla fruibilità dei vari eventi.
La portata di tali opere è sicuramente diversa, soprattutto per un fattore di incidenza che il tennis non può eguagliare, ma ormai è appurato che dove si vuole ottenere qualcosa di concreto c’è bisogno di evoluzione e di discussione costruttiva, a qualsiasi livello.
La stessa Spagna, che accanto al cartello stradale al confine potrebbe tranquillamente scrivere Naciòn de la tierra roja visti i grandi risultati degli iberici su tale superficie, negli ultimi anni ha investito moltissimo nello sviluppo dei settori giovanili e sul circuito juniores, affinché fin da piccoli ci si potesse formare a tutto tondo, senza dunque standardizzarsi in un senso o nell’altro.
E’ altrettanto sacrosanto che vengano mantenute le vecchie sane tradizioni, come lo spettacolo degli Internazionali di Roma su una terra che è perfetta così com’è per dare spettacolo a chi gioca ed a chi guarda.
Non sta a noi definire un obiettivo o un tipo di impegno piuttosto che un altro, anche perché il lavoro dietro a qualsiasi sconvolgimento di un ordine costituito è grande e non può dare più di tanti risultati per l’immediato, ma una piccola richiesta, questa si, vorremmo lasciarla.
Ci si guardi negli occhi e si faccia veramente qualcosa di deciso per il nostro paese.
Forse non suonerà molto bene, però io credo che la ripresa di qualcosa che potrebbe essere splendido e funzionale parta anche dal basso, dalle cose che potrebbero sembrare marginali ma che in realtà possono offrire un apporto incredibile alla causa.
Dove arrivano gli interessi economici, spesso arrivano le promesse e le negligenze conseguenti, senza un vero e proprio piano e senza pensare a qualcosa di più alto del mero guadagno.
Di certo non morirebbe nessuno se le cose restassero così come sono, ma credo che in pochi non vedrebbero l’effettivo beneficio di un cambio di rotta, più che mai motore in uno stallo che sembra senza fine.
Pensateci.