Quante volte si legge sul web e sui social “ormai è finito/a”, “non vincerà più un grande torneo” o “cosa aspetta a ritirarsi?”? Eppure, ogni anno diversi tennisti annunciano la fine della loro carriera, pronti per un nuovo capitolo della loro vita, ma tra questi non compaiono gli altisonanti nomi di Roger Federer e Serena Williams. Un tennista imperturbabile, elegante, un uomo sensibile e brioso. Una tennista grintosa, emotiva, una donna dolce e determinata. Due atleti così diversi, eppure così simili, che hanno dato al tennis più di qualsiasi loro collega negli ultimi 20 anni. Nati entrambi nei mesi caldi del 1981, una in una famiglia povera americana e l’altro nella più benestante Svizzera, Serena approccia il circuito maggiore prima, come spesso accade, cominciando a mietere vittorie già alla fine degli anni 90. A 16 anni supera due top10, a 18 ha il primo Slam nel palmares. Per l’esordio di Roger bisogna attendere qualche anno, visto che il primo titolo ATP arriva nel 2001 e il primo Slam nel 2003, sull’amata erba di Wimbledon. Serena ne ha 6 in bacheca in quel momento, sfiorando anche il Grand Slam nel 2002, ma per una pura questione di più rapido sviluppo fisico, che permette di essere competitivi nel circuito WTA già da teenagers.
Da questo momento in poi, per almeno 15 anni, i due rimangono saldi ai vertici del ranking, continuando a vincere e condividendo il primato della classifica con celebri antagonisti come Rafael Nadal, Novak Djokovic, Maria Sharapova, Justin Henin, Amelie Mauresmo, Caroline Wozniacki, Victoria Azarenka e via dicendo. Gli ultimi anni non sono stati dei più semplici. Serena, che ha avuto una carriera più travagliata a livello di salute rispetto all’elvetico, nel 2017 decide che è il momento giusto per introdurre nella famiglia una nuova arrivata. Nasce Alexis Olympia Ohanian Jr., ma dopo un difficile parto e difficoltà non da poco nel ritrovare la forma, la minore delle sorelle Williams lavora duramente e nel 2018 annuncia il proprio rientro già ad Indian Wells. Roger dal canto suo gioca una stagione ad altissima intensità nel 2017 e inizia il 2018 con un altro Slam, il ventesimo della florida carriera. Da quel momento in poi, nessuno dei due riuscirà a sollevare più un trofeo Major, e ad ogni occasione non si sprecano i dubbi sull’età, sulle motivazioni, sulla capacità di reggere grandi confronti a livello fisico nonostante i due si spingano avanti in quasi qualsiasi torneo disputato. Serena Williams raggiunge ben 4 finali Slam, ma sembra paralizzarsi nell’atto finale come la più emozionata e sprovveduta delle giovani, forse anche per il peso attribuito alla “Quest for 24”, la ricerca del 24esimo Slam per diventare la più titolata di sempre. Roger viene sorpreso da Anderson, Millman, Tsitsipas, oppure fermato in modo quasi costante da Nadal o più spesso Djokovic. Serena cede ad Halep, Kerber, Osaka o la terribile NextGen Bianca Andreescu. Nell’appena concluso torneo di Melbourne, la statunitense è uscita a sorpresa contro Qiang Wang mentre Federer si è salvato prima contro Millman e poi contro Sandgren, arrivando in entrambi i casi ad un passo dalla sconfitta, prima di arrendersi in tre set a Djokovic.
Che senso ha continuare se non si può più essere i migliori? Troppe, troppe volte questa domanda ha acceso dibattiti, una domanda superficiale, che non solo considera troppo poco i risultati sul campo, ma dimentica completamente l’aspetto umano di due tennisti che forse per la loro grandezza possono apparire distanti, intoccabili, leggendari, ma che si alzano ogni mattina per lavorare sodo e si addormentano tra problemi e sogni, come tutti gli altri ‘comuni mortali’. Perché dire basta al tennis? Perché smettere quando si è in grado di stare tra i migliori 5-10 giocatori al mondo e giocare finali Slam, quello che quasi la totalità dei tennisti al mondo può solo sognare? Perché rinunciare all’adrenalina, la lotta, il sudore, la gioia e la frustrazione che ogni match può dare a quei livelli? E no, non centrano soldi o attenzioni mediatiche, e probabilmente neanche i record. Se a 38 anni ti alleni ancora tutti i giorni, ti prepari ad altissimi livelli per competere contro i migliori al mondo e per vincere, lo fai per la forma più pura d’amore. Un amore incondizionato, venale, pervasivo, che ti lega con forza alla racchetta, alla pallina, a quelle righe del campo che ormai potresti tracciare anche ad occhi chiusi, al calore del pubblico. Al loro posto, siamo sicuri rinunceremmo a tale privilegio? È difficile dire ora se riusciranno a vincere altri Slam, o se saranno magari in grado di aggiudicarsi l’oro olimpico. Sicuramente a Wimbledon e New York avranno ancora una volta le loro opportunità, ma una sconfitta non dovrebbe sorprendere, né deludere. La verità, ad ora, è che nessuno dei due è più in grado di dominare il circuito, ma entrambi continuano a mettere in campo un tennis spettacolare, che sia fatto di delicate volee o di risposte vincenti, e invece di gridare alla loro fine o di assicurarne un ritorno alla gloria sarebbe meglio godere di tutto questo, riempirsi gli occhi di bellezza, soffrire e gioire con loro come in tutti questi anni. Il tempo detta i ritmi della nostra vita, ci inquieta, ci affretta, ma quando si è sul campo da tennis tutto si ferma, si rimane sospesi in una dimensione parallela, e la cosa migliore che ci possa capitare è di restare sospesi insieme a loro, vivendo a pieno ogni singolo istante.