Ripubblichiamo volentieri un articolo uscito oggi sul sito SportDiaries scritto da Michele Alinovi, vice-direttore di Tennis Circus.
“ORFANI DI ROGER FEDERER
Wimbledon, 2016: sembrava che la magia si dovesse avverare, e che anche gli dèi – in qualche modo – fossero favorevoli alla marcia di Roger Federer verso la sua undicesima finale sui prati dell’All England Club. L’epica e meravigliosa battaglia ai quarti di finale contro il croato Marin Cilic, vinta in rimonta dopo uno svantaggio di 2 set a 0, pareva quasi un segno di un destino, più forte della giovinezza e della potenza del gigante balcanico. A quasi 35 anni, Roger Federer era ancora lì, a incantare con grandi colpi (come questo) e a sfidare l’inesorabile ruota del tempo: con il n. 1 del mondo Novak Djokovic già fuori dai giochi e Andy Murray segnato dalla pressione di essere il favorito nello Slam di casa, alcuni avevano iniziato a credere a una favola non ancora scritta, ma a lungo sognata. A riportare alla realtà ci ha pensato un altro spilungone nativo dei Balcani, il 25enne canadese Milos Raonic. Poco meno di due metri d’altezza, nonostante un volto ancora da ragazzo, e il terzo più potente servizio del circuito, dopo quello del croato Ivo Karlovic e dello statunitense John Isner. Federer, avanti due set a uno, era arrivato a pochi punti dal successo insperato. Ad un tratto, però, il fisico, le gambe oppresse dalla fatica di giorni di battaglie, hanno ceduto. Una brutta caduta, a metà quinto set, e il seguente intervento del fisioterapista al ginocchio sinistro, come a dimostrare che anche lui era fatto di carne, muscoli e ossa – anche lui era umano. E che quel giorno, il talento e il tifo corale delle migliaia di spettatori seduti sul Centre Court, il talento e l’esperienza di Roger Federer non sarebbero bastate contro quel possente ragazzone seguito da un serafico John McEnroe, che serviva 230 chilometri orari e che di vittorie aveva fame tanto quanto lo svizzero. Pochi minuti dopo, Milos Raonic – primo nato negli anni Novanta a raggiungere una finale Slam – avrebbe alzato le mani al cielo, mentre per Roger Federer sarebbe calato il sipario. Per il giovane, raggiante canadese l’intervista di rito davanti su uno sfondo verde e viola. Un’altra telecamera aveva invece seguito Roger dirigersi verso il corridoio, fino a che l’ultimo lembo candido della sua maglietta firmata aveva concesso il bramoso sguardo, prima di essere divorato dall’oscurità: una metafora tristemente perfetta di quella che ha il sapore di una grande occasione sprecata, forse l’ultima”.
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