Tennis per non vedenti? Si può fare!

Il tennis non è solo vista. Grazie a diverse persone coraggiose tutto sembra possibile, basta volerlo.

La seguente è una traduzione dell’originale articolo per Tennis.com di Thomas Lin, il quale, oltre a scrivere di un’attività necessaria, ha anche deciso di provarla lui stesso.

Tata, tata, tata. Si diffonde nella stanza buia un rumore come di sonaglio per infanti. Stringo forte il manico della racchetta per ragazzini. Colpisco dove credo si trovi il mio bersaglio. E’ più un colpo a cucchiaio che un vero dritto; cerco la palla estendendo la mano e il polso, più che affidandomi a gambe e spalle contratte, senza parlare dell’inesistente apertura. Sdeng! Tata, Tatatatata. Sto lì incappucciato e rido, orgoglioso di aver buttato dall’altra parte della rete una tremebonda pallina da qualche parte, da qualunque parte.

“Proviamo di nuovo”, dico. Ma questa volta chiedo che la palla non vada esattamente dove io la aspetto. Voglio vedere se riesco a rintracciare e colpire quella spugnosa pallina dotata di campanellini al suo interno usando il mio solo udito per individuarne la posizione. La manco. Questa è la mia prima lezione di tennis per ciechi.  

Questa mia lezione ebbe luogo nel 2012 e la mia istruttrice era Sejal Vallabh, volontaria dell’organizzazione Tennis Serves, che ha lei stessa fondato per far giocare insieme sia vedenti che non vedenti in istituti come il Lighthouse International a New York, la Perkins School for the Blind a Watertown (MA), e la California School for the Blind a Fremont. La mia esperienza non era qualcosa di strano per coloro che iniziavano, dice –molti dei suoi studenti spesso si sentono frustrati all’inizio; “ma quando iniziano a sentire il contatto con la palla” afferma Vallabh, “guadagnano la fiducia necessaria per provare ancora. E’ in quel momento che diventa eccitante”.

Argentina-Blind-Tennis Lezione di Blind Tennis in Argentina

Uno degli atleti alla Perkins era Dan Guilbeault, un affabile ragazzo che aveva gradualmente perso quasi tutta la vista dopo essere stato curato per un tumore all’età di tre anni.

“Posso solo vedere la tua ombra”, dice. “ed è solo sfocata”. Ha praticato molti sport durante la sua infanzia, ma quando la vista lo ha pian piano abbandonato… “Non avrei mai pensato di giocare a tennis un giorno”. Quando è venuto a conoscenza che la Perkins offriva questo tipo di opportunità, Guillbeault l’ha colta al volo. “A dire il vero fu facile per me”, dice. “Sarebbe bello se questo genere di iniziativa fosse estesa  ai ragazzi di tutte le scuole pubbliche del Paese”.

Ognuno di noi sa che nel gioco del tennis è richiesta una coordinazione occhio-braccio per saper colpire una piccola pallina con potenza e precisione. L’allenatore ci dice sempre “occhi sulla palla”. Ad alti livelli i giocatori compiono scelte all’ultimo secondo basate sull’osservazione della direzione del colpo, la carica di rotazione, gli angoli, l’altezza della rete e avendo una precisa visione delle line e del campo.

Ma allora come è possibile per i non vedenti poter giocare a tennis? Gli scienziati hanno scoperto che la corteccia visiva ci fornisce non solo informazioni di tipo visivo, ma anche uditivo e tattile. Il dottor Robert Gotlin, primario di ortopedia e riabilitazione sportiva del Beth Israel Medical Center di New York City, afferma: “I non vedenti possono percepire gli oggetti nello spazio anche usando altri sensi.”

Chiaramente alcune regole basilari del gioco sono modificate: racchetta più corta, rete più bassa, linee rialzate in un campo più ristretto e ovviamente l’uso di una pallina meno pericolosa che produce un suono al suo contatto con la sua superficie di gioco. Sono inoltre ammessi tre rimbalzi per colpire. Le origini di questo sport sono da individuare nel lontano Giappone già nel 1984, quando un giovane adolescente cieco, tale Miyoshi Takei, progettò una pallina adattata a questo tipo di circostanza. Appena otto anni dopo, grazie a Takei si inaugurava il primo torneo nazionale di questa disciplina. Fenomeno del circuito, Takei vince 16 dei primi 21 campionati nazionali giapponesi, ma spesso il destino (forse, chi può dirlo?) non è dalla nostra parte e il campione nipponico muore tragicamente all’età di 42 anni a causa di un deragliamento ferroviario.

“Il sogno di Takei era di espandere in tutto il mondo questo sport”, afferma Ayako Matsui, un’insegnante di tennis che, da quando ha conosciuto Takei e sua moglie Etsuko nel 2006, si è impegnata in questo senso. “Voleva rendere la società qualcosa di migliore, con giocatori normodotati e non vedenti capaci di giocare assieme e di capirsi l’un l’altro.”

Vallabh ha imparato qualche nozione di tennis per non vedenti proprio dalla Matsui, nel 2010, durante un progetto estivo del servizio volontariato dell’organizzazione HandsOn Tokyo. Una volta fatto ritorno a Boston, Vallabh ha pensato di iniziare i ragazzi della Perkins a questa nuova attività. “I miei genitori hanno sempre speso soldi per i miei corsi, le mie lezioni e le cliniche fin da quando avevo circa 6 o 7 anni, e ora il tennis è un modo per ripagarli”, dice Vallabh.

miyoshitakei Miyoshi Takei

I campionati nazionali di questo sport sono però tuttora attivi solo in Giappone e in Regno Unito, ma questo genere di tennis è praticato in più nazioni, come Corea, Cina, Singapore, Filippine, Australia, Spagna, Italia, Canada, Sud Africa, Bahamas e Argentina. Negli Stati Uniti però il tennis per non vedenti è ancora un attività alquanto misteriosa. Questo fatto sorprende un po’ tutti considerando quanto importante sia considerata l’attività sportiva sotto la bandiera a stelle e strisce (gli ori olimpici sono da spartirsi tra Stati Uniti e Russia ad ogni edizione). Eppure in America lo sport non è ancora riconosciuto a livello ufficiale, non ci sono tornei e nessun campo o struttura adattata a tale scopo. 

“Non c’è niente di organizzato, è tutto fermo a un livello infantile” dice Cindy Benzon, rappresentante della USTA Tennis Service di Houston, Texas. “Siamo molto bravi a presentare nuovi progetti, ma l’iter burocratico e l’organizzazione pratica dei programmi è la parte più complessa… Abbiamo tantissimi sport per non vedenti qui negli Stati Uniti, ma non il tennis.”

Decenni fa la Benzon, che giocava a tennis per l’Università di Dallas, fu avvicinata a questa disciplina da un allenatore disabile e iniziò a progettare palline di diverso colore per i ciechi con una minima abilità visiva. Un giorno, grazi ad internet, venne a sapere degli enormi progressi dei giapponesi e dice “Il tennis è uno degli sport più adattabili a tutti, perchè non far provare anche coloro che non vedono?”.

A febbraio, Maria Dolores Fernandez di Look of Hope, una fondazione messicana che aiuta anche i giovani tennisti non vedenti del Texas, ha invitato i rappresentanti di questa disciplina da 12 paesi del mondo, tra i quali Benzon e Matsui, presso la Rio Grande Valley per il primo Blind Tennis Congress. “I delegati hanno cercato di tracciare una mappa per il futuro dello sport”, dice Claudia Sedas, interprete della fondazione, e continua “Dai tornei locali passeremo a quelli inter-statali e successivamente ai nazionali.”

Come è facile immaginare, poter organizzare, insegnare e apprendere il tennis per non vedenti è cosa assai ardua ma Vallabh, Sedas, Benzon e Matsui sono determinate. Vallabh parla di voler istituire classi di questo sport nel suo ateneo. “Quest’anno sabbatico mi ha fatto capire che è qualcosa che voglio continuare a perseguire, che va perseguito. Ce n’è molto bisogno”. La Sedas inoltre sottolinea, “Imparare uno sport come il tennis aiuta i ragazzini ciechi a guadagnare fiducia in sé stessi; e inizierebbero già durante gli anni della scuola dell’obbligo.”

“Si può fare”, dice Benzon. “Abbiamo solo bisogno di persone che ci aiutino ad insegnarlo e bisogna far sapere alle persone che questa disciplina esiste.”

Ricordo perfettamente il senso di smarrimento di fronte all’impossibilità di sapermi muovere e di poter colpire una pallina, ma ricordo benissimo anche l’eccitazione di quando sono riuscito a colpirla. Bisogna solo fare pratica, come mi disse Guilbeault. “Ogni tanto i bambini piangono, ma è un’ottima esperienza per loro”, dice Matsui “adoro vedere il loro sorriso quando finalmente riescono a colpire la pallina e a mandarla dall’altra parte della rete”.

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