La vittoria del diciannovenne Nick Kyrgios contro l’ex numero 1 del mondo Nadal agli ottavi di finale di Wimbledon è una delle pagine più belle e interessanti nella storia recente del tennis. E non solo per il netto divario tecnico e di classifica tra i due, che dava i favori del pronostico tutti per il maiorchino. Ma anche perché vedere un non ancora ventenne battere uno dei migliori è diventato col passare degli anni evento sempre più raro.
Merito sicuramente dei Fab four che dominano gli Slam da circa 10 anni a questa parte (salvo pochissime eccezioni vedi Del Potro agli Us Open nel 2009 e Wawrinka in Australia quest’anno) e primeggiano in quasi tutti i Master 1000 della stagione, ma forse anche per colpa di una nuova generazione di talenti che stenta a decollare e che ha bisogno comunque di qualche anno in più di esperienza per giocare all’altezza dei colleghi più celebrati. Analizzando, dunque, questo scontro generazionale il vero dilemma è capire se questo ritardo nell’avvicendamento ai vertici sia dovuto alla straordinaria forza dei migliori o, al contrario, allo scarso livello di chi dovrebbe soppiantarli.
Molti tra gli addetti ai lavori considerano gli ultimi 10 anni come la Golden age del tennis perché il livello di gioco dei top players è talmente alto che per tutti gli altri è estremamente difficile avvicinarsi in classifica. Non a caso la top ten vede sempre o quasi gli stessi giocatori, a parte qualche new entry più recente (vedi Raonic, Dimitrov, Nishikori). Ma una volta che usciranno di scena i fuoriclasse Federer, Nadal e Djokovic, cosa ci aspetta?
Secondo l’esperto Andrew Burton ci apprestiamo ad assistere alla Dark age del tennis maschile. In una sua recente analisi, surrogata da numeri e statistiche, Burton fa notare come dal 2008 fino a oggi, se si escludono quelli che sono considerati i Big four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray), solo 5 giocatori hanno superato la fatidica soglia dei 4.000 punti Atp in carriera (standard che consente di valutare la qualità di un tennista): Soderling, Tsonga, Simon, Del Potro e Wawrinka. Quest’ultimo è riuscito nell’impresa proprio nel 2014 grazie soprattutto alla vittoria nello Slam australiano, all’età di 29 anni. A questo elenco possiamo aggiungere il ceco Thomas Berdych, attualmente n. 5 con 4.400 punti e David Ferrer che con il suo best ranking (n.3) del 2013 raggiunse quota 7.200 punti.
Tornando indietro nel tempo e prendendo in considerazione gli anni dal 2000 al 2007, invece, ben 23 giocatori sono riusciti a sfondare il muro dei 4.000 punti, con una media di 3 per ogni anno. Cinque di loro ce l’hanno fatta da teenagers: Lleyton Hewitt, Andy Roddick, Rafael Nadal, Novak Djokovic e Andy Murray. Tre all’età di 20 anni: Marat Safin, Roger Federer e Juan Martin Del Potro.
Della nuova generazione di tennisti, quelli nati tra il 1988 e il 1993, che Burton chiama Generazione Grigor (considerando Dimitrov l’esponente di spicco di questa generazione) nessuno è ancora riuscito a raggiungere la soglia dei 4.000 punti. E tra questi, soltanto in 13 sono entrati nei primi 50 della classifica Atp, mentre nella top ten oggi troviamo Dimitrov e Raonic, peraltro entrati di recente.
Burton, dunque, fa notare come la media d’età dei giocatori che entrano nei primi 50 al mondo si sia alzata di 3 anni. E nulla, ad oggi, ci suggerisce che tale tendenza possa rallentare o invertirsi. Tant’è che se prendiamo la classifica dei 100 migliori tennisti del pianeta, circa un terzo di essi sono trentenni, ultratrentenni o sulla soglia dei 30. Tornando all’exploit di Kyrgios, bisogna anche tenere in conto che il suo castigatore ai quarti, un altro giovane dalle mille speranze, Milos Raonic, ha poi subito in semifinale una grande lezione di tennis impartita dal vecchietto quasi trentatreenne Federer.
Nei 40 tornei disputati sin qui nel 2014, solo sette giocatori della generazione Grigor sono riusciti a vincere almeno un titolo, vale a dire Ernest Gulbis, Roberto Bautista Agut e Marin Cilic (classe ’88), Kei Nishikori e Martin Klizan (classe ’89), Federico Delbonis (classe ’90) Grigor Dimitrov (classe ’91). E solo due tra questi hanno vinto un torneo Atp 500 (Dimitrov e Nishikori), gli altri si sono imposti in tornei Atp 250. Se guardiamo i tennisti nati dal ’92 in poi, la casella dei titoli segna uno sconfortante zero.
Molti ritengono che questo innalzamento dell’età media nelle classifiche, e quindi questo ritardo nella maturazione tennistica, sia dovuto principalmente all’omologazione delle superfici di gioco. Mentre prima, infatti, vi era molta differenza tra erba e terra battuta, ora un fondista come Nadal, ad esempio, può tranquillamente imporsi in tornei che negli anni ’90 si sarebbe probabilmente sognato di vincere. Per fare un esempio, da quando è stata cambiata la composizione dell’erba di Wimbledon nel 2001, i palleggi si sono allungati e il gioco d’attacco a rete ha smesso di essere la tattica obbligatoria per vincere. Lo ha dimostrato per l’appunto lo spagnolo Nadal, vincendo i Championships senza dover quasi mai giocare una volée.
Il tennis di oggi, insomma, non è più uno sport per specialisti, dove il livello dei giocatori si rimescola a ogni stagione e l’effetto sorpresa è una variabile fondamentale. Il tennis di oggi, invece, è fatto soprattutto di capacità di palleggio, di resistenza nei lunghi scambi e di grande atletismo. Un atletismo basato però sul gioco da fondo campo, quindi sulla corsa laterale. Fateci caso: in quanti manifestano difficoltà nel correre verso la rete a recuperare una palla corta?
Una parte di responsabilità è attribuibile anche agli allenatori, che puntano ormai sul costruire giocatori completi, da tutte le superfici, senza puntare sulle qualità specifiche dei propri allievi. Ma non possono essere soltanto questi i motivi di un declino annunciato.
Molto fa anche la tecnologia, probabilmente. Le racchette di oggi, infatti, consentono di mandare la pallina dall’altro lato della rete semplicemente colpendola di rimbalzo, tenendo il polso fermo. Si può dire che giocano quasi da sole. Questo sviluppo tecnologico ha inevitabilmente portato a un minor impegno nello sviluppo della tecnica da parte dei giovani giocatori. Per capirci: con la racchetta di legno l’atleta doveva necessariamente sforzarsi di più per colpire la palla e mandarla oltre la rete. Oggi c’è bisogno di molto meno sforzo e meno bravura. Questo significa che giocatori dotati ancora di grande tecnica e di grande capacità nel lavorare la pallina (vedi generazione Federer) mettono in notevole difficoltà le nuove leve, molto brave a picchiare palle piatte ma altrettanto incapaci quando si tratta di ribattere in campo palle lavorate, per esempio in slice.
Un ultimo fattore che spiega le ragioni del perdurante dominio dei vecchi è il divismo (e quindi l’incapacità di gestire la notorietà) che ha colpito molti dei giocatori più giovani. Professionisti come Federer, Nadal, Djokovic o, tornando ancora più indietro, Lendl, Edberg, Chang, non se ne vedono più. Al contrario si vedono sempre più spesso tennisti presenti nelle prime pagine dei giornali non per imprese sportive ma per questioni legate al gossip o ad altro.
Siamo dunque in prossimità della “Dark age” prospettata da Burton? Noi naturalmente ci auguriamo di no anche se le statistiche ci suggeriscono il contrario. L’impresa dell’australiano 19enne Kyrgios è sicuramente una boccata d’ossigeno, una ventata di freschezza. E’ sbocciato un potenziale futuro campione. Ma si tratta di un fiore di campo, non di serra. Perché ormai vi è sempre più omologazione anche nella costruzione dei giocatori. Di sicuro, quando si ritireranno Federer, Djokovic e Nadal, qualcuno vincerà i tornei al posto loro. Ma probabilmente il livello qualitativo del tennis sarà nettamente inferiore.