Dopo le proteste di Rosol per la lentezza nella ripresa del gioco da parte di Rafael Nadal, si riaccendono le polemiche sulla regola dei 20 secondi. Va applicata alla lettera o interpretata?
Una raspatina al sedere, una smutandata, una tirata di maglia all’altezza delle spalle, poi una grattata al naso e infine il riporto dei capelli dietro l’orecchio sinistro e dietro quello destro. Ecco che finalmente, terminato il rituale, parte lo scambio dalla racchetta di Rafa Nadal al servizio. Una serie di piccoli gesti e tic ripetuti con estenuante precisione e senza mai mancarne uno che alla fine portano inevitabilmente il maiorchino a sforare il tempo massimo di 20 secondi consentito dal regolamento per la ripresa del gioco tra un punto e un altro. E non è certo l’unico a violare il limite imposto. Come lui, ad esempio, anche Nole Djokovic o Maria Sharapova lo fanno costantemente. Una ricerca della concentrazione attraverso dei gesti divenuti meccanici che per alcuni sono ormai irrinunciabili. Rituali lunghi ed estenuanti che oltre a rallentare il ritmo delle partite hanno provocato inevitabilmente la rabbia di tanti tennisti meno forti e meno famosi che invocano da tempo il rispetto della regola da parte di chi la viola puntualmente. Perché dall’altra parte della rete c’è chi quella stessa concentrazione potrebbe perderla.
Lukas Rosol in azione a Wimbledon.
L’ultimo in termini di tempo a protestare è stato Lukas Rosol, che non è riuscito a bissare l’impresa di due anni fa quando eliminò Nadal da Wimbledon ed è uscito sconfitto al secondo turno dal numero 1 del mondo. “Tutti i giocatori dovrebbero avere lo stesso tempo a disposizione tra un punto e l’altro – ha detto il ceco indispettito nel post partita – Ma questo non accade e i più forti e famosi si prendono più tempo degli altri senza che nessuno gli dica niente. Non capisco il perché”. Anche contro di lui, Nadal ha sforato più volte il limite dei 20 secondi ma dall’arbitro di sedia non è partito nessun warning nei suoi confronti. “Tra un punto e l’altro non passavano 30 secondi, ma sempre un minuto – ha polemizzato Rosol – Qualcuno dovrebbe dire qualcosa. Non è certo colpa mia. Ho chiesto all’arbitro se secondo lui era tutto ok e lui mi ha risposto che sì andava tutto bene”. Nel calcio questo atteggiamento degli arbitri nei confronti dei più forti lo chiameremmo “sudditanza psicologica”, cioè una sorta di timore reverenziale che si traduce in campo in una maggiore tolleranza nei riguardi di squadre particolarmente importanti o ricche. E in Italia ne sappiamo qualcosa a riguardo.
Negli ultimi anni l’Atp ha cercato di fare di nuovo ordine nel regolamento sulle questioni di time violations ma non ha fatto altro che confondere ancora di più le cose: il tempo limite fissato a 25 secondi e il cambio di sanzione da penalty point a semplice fault al servizio non ha infatti convinto l’Itf che non ha adottato il nuovo regolamento per la Coppa Davis e i quattro tornei Slam, dove infatti il limite resta di 20 secondi. Insomma i giocatori in questo modo dovrebbero riadattare ritmi e rituali quattro volte l’anno. Certo non il miglior modo per semplificare le cose.
Ma al di là del giusto numero di secondi da dare ai giocatori, il nodo cruciale della questione in realtà è un altro: questa regola va applicata alla lettera o interpretata? E’ chiaro che in determinate circostanze, per esempio uno scambio particolarmente lungo e duro, ci possa essere una maggiore tolleranza da parte dell’arbitro di sedia e il Rulebook dell’Atp in questo senso lo consente. Ma lasciare un’eccessiva discrezionalità agli arbitri porta inevitabilmente alle polemiche a cui abbiamo assistito e rende inapplicabile anche l’idea, ipotizzata pure da Roger Federer quindi non uno qualunque, di installare in campo il cronometro per calcolare i famosi secondi.
Insomma, si riduce tutto a una questione di buon senso. E’ giusto tollerare in alcuni momenti della partita lo sforamento dei 20 secondi, ma è altrettanto doveroso da parte degli arbitri impedire ai tennisti in campo di approfittarne.
Uno dei diretti interessati, Rafael Nadal, interpellato sulla questione in passato ha naturalmente tirato l’acqua al proprio mulino definendo questa regola “un vero disastro”. Secondo il maiorchino “in luoghi umidi come il Brasile, il Cile o il Messico, dove lumidità è tantissima, questa regola è veramente dannosa. Va contro i grandi punti. Se a fine stagione guardiamo i punti migliori, tra quelli non troviamo mai un ace o un punto veloce, ma sempre degli scambi lunghi ed estenuanti. Pensate sia possibile giocare un punto molto dispendioso e dopo appena 25 secondi giocarne un altro? No, non è possibile, quindi questa norma va contro il bel tennis“.
Per contro, lo svizzero Federer, dopo lo sfogo di Rosol ha chiarito come sia “importante giocare più velocemente e rispettare il tempo limite di 20 secondi per servire. Altrimenti rischiamo di perdere telespettatori a causa della lentezza del gioco che così diventa noioso”.
L’iperidrotico Gael Monfils.
Ma il più saggio è stato sicuramente Gael Monfils, vittima di sanzione per time violation lo scorso anno e ripreso dalla stampa mondiale per la giustificazione data all’arbitro dopo la violazione dei 25 secondi in un torneo Atp: “Sono nero perciò sudo tanto”. Ebbene per il francese sarebbe solo una questione di abitudine: “A me in fondo fa piacere, io chiedo molto al mio fisico, e non credo ci siano tanti giocatori che come me sarebbero capaci di tornare a servire in 10 secondi. È un vantaggio per me. Credo però che l’arbitro debba giudicare se il giocatore sta prendendo tempo perché è stanco, o per colpa del raccattapalle, prima di sanzionarlo.
Ad ogni modo, resta un nodo ancora duro da sciogliere e non sarà facile arrivare a una scelta condivisa da tutti. Intanto però, per evitare polemiche sarebbe già utile cominciare a chiarire alcuni aspetti. Per esempio stabilire con chiarezza quando deve iniziare il conteggio di questi benedetti 20 (o 25) secondi, dato che molti tennisti hanno denunciato differenti interpretazioni da parte degli arbitri.