Mi sono interrogato spesso su Thiem, un po’ perché mi stava istintivamente simpatico e un po’ perché il rovescio a una mano va sempre sostenuto, come gli animali in estinzione. Mi piaceva soprattutto quel suo modo di spararla senza troppi compromessi. Lo vedevo come un tipo generoso, anche troppo, che non si risparmia e gioca a tutto braccio su e giù per il globo senza riuscire a quagliare nei momenti chiave per mancanza di cinismo e incapacità di gestire le energie. Mi sembrava che in qualche modo riuscisse sempre a farsi crollare addosso le grandi occasioni e che fosse destinato a rimanere schiacciato sotto il tacco dei tre vecchietti – un po’ come quelli della lost generation, qualche anno più grandi lui – fino alla maturazione dei next giovanotti, pronti a prenderlo a pallate nei denti.
qualcosa è cambiato. In realtà non è successo di colpo, ma piano piano, come la goccia d’acqua che erode la montagna. Ci sono stati, sì, dei momenti decisivi ed evidenti, ma tutto nasce dall’ostinazione pervicace e quasi cieca, dalla dedizione al lavoro quotidiano e dalla fiduciosa pazienza di chi sa che un lungo viaggio è fatto di piccoli passi. Durante il percorso ha preso sonori schiaffoni, tipo i quarti di finale Us Open 2018 contro Nadal (vittoria in cinque set per l’iberico: 0-6, 6-4, 7-5, 6-7, 7-6), come dire: hai dato un bagle a Nadal ma sei riuscito a perdere lo stesso, nel più crudele dei modi. Alla fine del 2018 Thiem ha 25 anni, e i titoli conquistati in carriera sono 11, quasi tutti su terra.
Nel 2019 c’è un click, rappresentato idealmente dalla finale di Indian Wells contro sua maestà Roger Federer. Lì è nato un nuovo Thiem, o piuttosto si è rivelato al mondo. Perché un conto è battere Roger nelle giornate grigie e decadenti, o farlo sulla terra rossa o approfittare di qualche suo regalo, un altro è tenere botta e infine piegarlo in una di quelle serate in cui il tennis sembra sorridergli, tendergli la mano e strizzargli l’occhio, fregandosene di chi sta dall’altra parte del campo. Roger ha iniziato in quel modo ingiocabile che spesso riduce l’avversario a sperare che il supplizio finisca presto. L’hanno provato in tanti, persino in questi ultimi anni in cui l’età ha preteso il suo dazio. Invece Dominic non si è arreso, non si è piegato. È rimasto lì, paziente e coerente, spingendo il suo solito tennis e riuscendo piano piano a girare la frittata e la partita. Un dolore relativo per Roger, che si è preso Miami la settimana successiva – a riprova del suo stato di grazia – ma un patrimonio di autostima per l’austriaco.
Cinque tornei vinti nell’anno – solo Djokovic come lui -, le finali del Roland Garros e del Master di Londra, insomma la miglior stagione in carriera, macchiata dalle precoci eliminazioni negli altri Slam: secondo turno a Melbourne, primo turno a Wimbledon (ma l’erba gli è stata un po’ indigesta finora, a parte la vittoria a Stoccarda 2016) e agli Us Open (dove invece difendeva i quarti di finale).
Cosa manca adesso per entrare nel circolo ristretto dei grandi? Ma ovviamente una vittoria Slam, e se possibile il numero uno della classifica atp, obiettivo molto lontano solo in apparenza, visto che Nadal e Djokovic difendono la dote di ben due major ciascuno e se non dovessero confermarli vedrebbero una sostanziosa diminuzione dei propri punti.
In questo senso va inquadrata la scelta di aggiungere al proprio team un mito del tennis austriaco e mondiale come Thomas Muster, uno che ai suoi tempi era chiamato the King of clay – oggi fa quasi sorridere, ma chi se l’aspettava che potesse scendere sulla terra un Nadal, polverizzatore di qualsiasi pretendente a quel trono? – vincitore di 44 tornei Atp – 40 sul rosso – e capace di issarsi al numero uno del ranking, benché per sei sole settimane. I due hanno si sono già allenati insieme e si sono convinti che questo rapporto, formalizzato per le prossime venti settimane, possa portare ulteriori benefici al gioco di Dominic. Che Thomas sia un tipo determinato era già evidente dal suo modo di stare in campo, ma un episodio su tutti ci mostra la sua tenacia inossidabile. Il primo di aprile del 1989, subito dopo aver vinto la semifinale del Master di Miami contro Yannick Noah, un’auto guidata da un ubriaco senza patente lo investe nel parcheggio, distruggendogli un ginocchio. La finale con Lendl non sarà mai disputata, ma quel giorno viene messa in discussione la possibilità di proseguire una carriera sui campi da tennis. Thomas smentisce tutti con una volontà di ferro, ben rappresentata dall’immagine di lui che si allena su una speciale panchetta, con la gamba ancora vistosamente ingessata (qui un video sulla vicenda). Non solo torna in campo, ma torna grande e torna a vincere, e otto anni più tardi riesce addirittura a portarsi a casa quel trofeo di Miami, così speciale anche perché su una superficie diversa dalla sua preferita.
Visto che il tennis si nutre anche di incroci e coincidenze, non si può dimenticare che l’ultima partita in un main draw atp Muster l’ha giocata a 44 anni proprio contro un giovanissimo Thiem al 250 di Vienna (qui la sintesi del match), in seguito a uno strano rientro sul circuito, per lui salutare ma avaro di vittorie: tra il 2010 e il 2011 ha giocato soprattutto nel circuito challenger, perdendo anche da Sergei Bubka junior, figlio del mitico saltatore con l’asta, nella qualificazione ad Halle.
L’idea è affascinante e ha un’evidente implicazione in prospettiva parigina: riuscirà il sovrano degli anni novanta, tramite il suo nuovo discepolo, a detronizzare l’imperatore di ogni epoca?Thiem può essere considerato al momento il numero due sulla terra e dopo due semifinali e due finali, la voglia di sollevare il trofeo del Roland Garros dev’essere quasi insostenibile, ma prima c’è parecchio da fare. C’è tutta la stagione sul cemento per guadagnare ancora qualche centimetro sulla strada del successo. Il 2020 non è partito benissimo, con una sola vittoria in tre partite all’Atp cup, ma l’esperienza è stata positiva, anche per abituarsi al clima e per scaldare i motori in vista degli Australian Open.