Accidenti accidenti accidenti! Tre volte, una sola è poca… Ci son rimasto male, sul serio, a veder Novak Djokovic, il guerriero di mille battaglie quasi sempre vinte, il blocco di ghiaccio che scioglie gli avversari con la forza della mente anzitutto, l’uomo che mai deve chiedere ma che anzi si prende quel che vuole e basta… rimanere lì, coi lacrimoni che un po’ gli scendevano lungo le guance e un po’ provava a trattenere con somma fatica, quasi inebetito in mezzo a 15.000 satanassi che ululavano a gran voce per sostenerlo (al contempo non pochi fra questi pronti, senza vergogna alcuna, a ‘buuuhare’ il suo avversario di là della rete, al momento che questi si apprestava a salire l’ultimo scalino verso la gloria).
E’ stato uno shock, per chi guardava in tv –per il sottoscritto almeno, di sicuro-, insopportabile addirittura per il prode serbo: il quale, dopo una parzialissima quanto orgogliosa rimonta, aveva costretto superPippo (il nomignolo che ho amichevolmente affibbiato al regicida) a servire senza più margini di sicurezza un match che lo aveva visto far corsa di testa sin dalle battute iniziali: e che ora, sul traguardo o giù di lì, gli proponeva viceversa affanni imprevisti ed imprevedibili. Macchè: il numero 1 non ha trovato più una stilla di energia, fisica e mentale, in virtù di quella inattesa ovazione che ha finito col prosciugarlo, mentre l’altro di converso ha scacciato deciso i fantasmi che gli dicevano da dentro, non c’è dubbio, “ora questo risorge dal nulla, come al solito, e sono affaracci miei”. E non ha pensato proprio ‘affaracci’, ma qualcosa di più crudo: chissà come si dirà in russo…
Abbiamo visto tutti, senza possibilità di equivoco, come e quanto possa contare la pressione persino su un soggetto che di questa è solito farsene beffe, proclamando anzi che gli serve, e se ne serve, per raggiungere i propri obiettivi: non è così, o almeno lo è sino ad un certo punto. Se riesci a stare sotto quella data soglia, che può essere anche alta assai, va tutto bene: se la superi addio, sei oltre il punto di non ritorno, ed il tuo destino si compie miseramente. Non importa ti chiami Nole, non importa che sei il migliore, non importa che guardi tutti dal (molto) alto in basso: frani, crolli miseramente, ti sgretoli. Perché gli dei li puoi sfidare quando sei sicuro di te, ma non sempre e sistematicamente. E soprattutto non invano: se voli troppo più in alto dei comuni mortali, come Icaro rischi che le tue alucce umane ad un certo punto non ti sostengano…
Il sacro Graal del tennis, il grande Slam, che sino ad un anno fa nessuno poteva manco lontanamente sognare di ottenere, continuerà a riposare tranquillo nella sua tana, chiuso a doppia mandata, con la chiave nascosta chissà dove. Non l’ha trovata Djokovic, che c’è andato vicino, non la troveranno a lungo i suoi eredi: forse mai. Rod Laver, presente sul centrale di Flushing Meadows, è troppo signore per aver anche solo accennato un gesto di compiacimento al crollo del suo potenziale eversore, ma certo in cuor suo un moto di soddisfazione lo ha (ri)animato: solo io ho bevuto da quella coppa –fra i contemporanei: Don Budge appartiene alla preistoria di questo sport-, altri non ce la faranno. O, dovesse accadere, fortunatamente non li vedrò…
Devo esser sincero? Mi è dispiaciuto: perché, pur essendo tendenzialmente un seguace del culto di Roger sommo imperatore, riesco nell’impresa di vedere (almeno ci provo) le cose come stanno. E che cioè il… terzo incomodo ha finito alla lunga col diventare il primo, e che ideale suggello a tale supremazia potesse essere qualcosa di mai compiuto da oltre 50 anni a questa parte: essere anche solo testimone dello storico evento lo avrei gradito parecchio, al pari di quei mangia hot-dog e patatine a tradimento là nel cuore di New York, i quali prima -more solito- al potenziale grandslammer lo fischiavano, e poi (accortisi che il sogno gli sfuggiva di mano) han preso ad omaggiarlo animalescamente –la Crusca mi è debitrice di un altro neologismo-, schifando il povero Danilo.
Ho scritto alla vigilia, sui vari social della racchetta di cui tutti voi che leggete siete usuali frequentatori, che il figlio di Srdjian a vittoria conquistata (e sulla quale, come quasi tutti, non nutrivo il minimo dubbio) avrebbe fatto il ferale annuncio, tipo Flavietta nostra: bene amici, è stato bello, vi ringrazio, io mi fermo qui, tanto ormai lo avete capito –e l’ho dimostrato ampiamente- che sono il più grande di sempre… Ne sono convinto, che sarebbe andata così, pure –e di più!- ora che il castello di carte è miseramente crollato. Già, dato che si è vista per intero la sofferenza, il peso enorme che porta all’uomo Novak –non al tennista- sostenere il ruolo di quello che sta solitario in cima alla montagna: senza amici, senza nessuno che ti appoggi (o pochi, quantomeno), tutti pronti solo a vederlo scendere, meglio se rovinosamente.
Chi vince è antipatico: per invidia, gelosia, quel che volete (l’animo umano è misero assai); chi perde trova comprensione, empatia, e se tali componenti ti son sempre mancate, finisci addirittura con l’amare la tua sconfitta. Quel che è successo a lui l’altra sera, con conseguente crollo emotivo. Solo prevalendo ancora una volta, e definitivamente, quel ragazzo che si allenava sotto le bombe avrebbe altrimenti trovato pace: mollando tutto, e riappropriandosi della sua vita. Non è andata così: e allora è costretto ad andare avanti, a ricostruirsi l’aurea del vincente, a farsi odiare ancora dopo questa –gradita, emotivamente- parentesi-. Da un lato rinfrancato dalle non attese manifestazioni d’affetto, ma dall’altro prostrato dal fatto che non può fermarsi come avrebbe desiderato (mandando in sostanza, anche se non lo avrebbe mai messo in essere esplicitamente, tutti a quel paese). Con rabbia, feroce ed abituale determinazione, tuttavia con un tarlo nell’animo: devo rimettermi il mondo sulle spalle, come Atlante, ma non ho più tutta la forza che occorrerebbe, e gli altri (Medvedev in testa) ne hanno in sempre maggior quantità: ed ora sanno che sono battibile…
Tanti auguri Nole, ne avrai bisogno. Non possiamo sapere se la tua corsa finisce qui, di sicuro non la tua fatica: e non credo sia un gran bel pensiero, per te…