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La USTA non segue l’esempio di Wimbledon: russi e bielorussi potranno giocare gli US Open

«La USTA permetterà agli atleti individuali provenienti da Russia e Bielorussia di competere agli US Open 2022, ma soltanto sotto bandiera neutrale»: si apre così il comunicato che la Federazione organizzatrice dell’ultimo Slam in calendario ha emanato nella giornata di ieri, fugando tutti i dubbi che aleggiavano sulla prossima edizione del torneo di Flushing Meadows.

All’atteso annuncio segue una nuova condanna dell’invasione russa in Ucraina, definita «immotivata» e «ingiusta», e l’introduzione di iniziative umanitarie come Tennis plays for Peace, creata in collaborazione con gli altri enti del tennis professionistico mondiale (ATP, WTA, ITF e gli altri Slam).

Rivedremo quindi in campo il campione in carica dello Slam d’Oltreoceano, Daniil Medvedev, tornato a inizio settimana in vetta al ranking mondiale, ma anche l’altro top ten moscovita, Andrey Rublev, che a New York si è spinto due volte fino ai quarti di finale. Il tabellone femminile, invece, sarà impreziosito dalla presenza di Aryna Sabalenka – unica tra le prime dieci giocatrici al mondo ad essere “bannata” da Wimbledon – oltre che di altre potenziali protagoniste come Daria Kasatkina, Vika Azarenka, Veronika Kudermetova e Ekaterina Alexandrova. Anche l’italo-russa Liudmila Samsonova, che fino ai 19 anni di età ha rappresentato il nostro Paese, potrà dire la sua davanti al pubblico della Grande Mela.  

In seguito alle decisioni prese dalla FFT per il Roland Garros e dalla USTA, quello di Wimbledon rimarrà quindi con buona probabilità un caso isolato. Il torneo inglese, al via il 27 giugno, pagherà a caro prezzo la sua decisione: l’edizione 2022, com’è noto agli appassionati, sarà una ricca, ricchissima esibizione. Per compensare l’assenza di punti ATP e WTA, infatti, l’All England Club ha deciso di aumentare fino a 40 milioni e 350 mila sterline il montepremi della 135° edizione dei Championships: di gran lunga il più alto di sempre, in barba a chi ritenesse già “trascurabile” la prossima edizione del torneo più prestigioso al mondo.

È probabile che la decisa reazione della quasi totalità dell’opinione pubblica al ban imposto dalla Lawn Tennis Association agli atleti provenienti dai Paesi non grati abbia condizionato la Federtennis statunitense. Comunque la si pensi, è innegabile che si tratti di una situazione delicata che coinvolge complessi equilibri internazionali, e che si debba dare la precedenza alla sicurezza e alla tranquillità degli atleti e delle loro famiglie, al fine di proteggerli da spiacevoli conseguenze che in contesti dittatoriali sono sempre dietro l’angolo. Con l’avvicinarsi dell’inizio dello Slam londinese, però, quella degli organizzatori sembra sempre più una scelta ingiusta sia nei confronti degli atleti esclusi, che di quelli che potranno partecipare, ma non difendere i punti accumulati nella scorsa edizione a causa della reazione (anch’essa eccessiva?) di ATP e WTA. 

Novak Djokovic, dal canto suo, ha giocato a Parigi e potrà di certo partecipare (da campione uscente) a Wimbledon – ma la sua presenza agli US Open è tutt’altro che scontata. Com’è ormai noto anche ai non appassionati di tennis, il serbo non è vaccinato e secondo i requisiti attualmente in vigore rimarrebbe escluso dalla competizione newyorchese. Difficile fare una previsione su quel che accadrà da qui alla fine dell’estate, quando gli occhi del mondo saranno puntati sui roventi campi in cemento della US Open Series: tuttavia il suo ritorno al primo posto della classifica mondiale – e di conseguenza la sua caccia al record di settimane al #1 (il quale è attualmente detenuto da Steffi Graf) – almeno per questa stagione sembra impossibile. 

Dopo il caso Djokovic in Australia, i trionfi (im)possibili di Rafa Nadal e la questione ucraina, quest’anno gli Slam stanno offrendo, ancor più del solito, un gran numero di talking points: l’augurio è che a far discutere l’opinione pubblica siano sempre più le imprese degli atleti in campo che le spiacevoli implicazioni di questioni extra-sportive.  

Davide Pignotti

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