Magari andrà a finire che Andy Murray si porterà a casa il suo secondo Wimbly. E che il vostro scrivano ci prenda seccamente con un pronostico.
Eppure questa edizione è riuscita a mettere da parte, in modo piuttosto netto per altro, i Fab Four (or Five, alla bisogna). Andiamo con ordine e proviamo a fare qualche analisi.
La faccia soddisfatta di Milos Raonic è sicuramente l’elemento di novità più eclatante di questa stagione erbivora. Finale al Queen’s, finale nel Tempio. L’avversario è lo stesso, il padrone di casa, così come appare abbastanza scontato l’esito. Ma le partite si giocano ovunque, tranne che sulla carta diceva Jimmy Connors, e l’erba può offrire più di una mano d’aiuto per il canadese di origini slave. Una finale che, con buona probabilità, ci offrirà uno spettacolo più dignitoso di quello andato in scena tra Murray e il fantasma di Thomas Berdych.
Già, Berdych, il ceco avrà pensato che Ivan Lendl, il suo monumentale connazionale, proprio non ne ha voluto sapere di sedere sulla sua panchina, preferendo quella più fascinosa (quanto scomoda, almeno acusticamente) dello scozzese. E mentre giocava (si fa per dire) la sua semifinale di Wimbledon, avrà anche pensato che poteva giocare la partita della vita, dimostrare di non essere un perdente (come un simpatico gioco di parole sul suo cognome che gira in rete lascerebbe pensare, “Perdych”) proprio davanti a Ivan. E invece proprio non gliene entrava una, ridicolizzato sulla sua seconda palla di servizio oltre che surclassato sul resto del gioco. Eppure Berdych è il secondo elemento di novità di questo torneo. Nessuno lo avrebbe pronosticato in semifinale.
Sam Querrey è il nome che ha sparigliato le carte a tutti. Facendo fuori il buon Nole Djokovic non solo ha impedito al serbo di approdare ancora in finale, ma ha soprattutto aperto una voragine nel tabellone, facendo pensare a Roger Federer di poter riprendere i suoi domini in terra d’Albione. Ha anche superato la famigerata prova del 9, sconfiggendo nettamente, nel turno successivo un ispirato Nicolas Mahut, ampiamente rifattosi in doppio, tanto per ricordare che gli erbivori ci sono ancora nel circuito ATP. Insieme a Querrey, indomito contro Raonic, un altro uomo della mittle-Europa ha bussato nei quartieri alti del tennis mondiale: Jiry Vesely. Per pochi punti il ceco non ha sconfitto il connazionale Berdych, in un match che è andato in scena mentre le ombre della sera calavano, un ottavo di finale che apriva le porte ad un quarto contro il francese Lucas Pouille. Sorpresa per sorpresa: un quarto tra Pouille, ultima traballante testa di serie, ma capace di issarsi fino al quarto di finale di una vita, e un underdog provetto. E non parliamo di sorprese? Sappiamo che è andata diversamente, ma per poco, anzi per un paio di fili d’erba durante un tie-break rocambolesco, quello del terzo set tra Berdych e Vesely.
Nè Jo-Wilfried Tsonga nè Richard Gasquet sono dei parvenù del tabellone londinese: il loro non-ottavo, finito come sappiamo proprio all’abbrivio, non rappresenta una sorpresa, mentre lo è certamente il match giocato dal simpatico transalpino e Murray, con quel quinto, inspiegabile set, a coronamento di quattro set di grande tennis, vario, ricco di pathos. Marin Cilic ha fatto sapere di essere ancora quel tennista che ha in casa un trofeo Slam, altra risorsa da considerare per variare i menù dei prossimi anni.
Rimamdato il giapponese Nishikori: vincerà mai uno Slam con quel fisico così leggero? Quando si ri-allineeranno gli astri per permettergli di ritornare in finale? E Nick Kyrgios, avrà imparato a gestire il suo più grande problema, ovvero le emozioni? Ne riparleremo. Di certo è andata in scena un’edizione ricca di elementi di novità, finalmente. Fuori dal circuito Djokovic-Nadal-Federer-Murray-Wawrinka. In tanti bussano, qualcuno ha piazzato l’acuto, altri rimandati. Ma qualcosa si muove nelle trame del circuito ATP, per sconfiggere la routine, per ovviare alla noia.