Ormai sono tantissimi i tennisti che si sono confessati all’interno di “Behind The Racquet“, il progetto, creato prima su Instagram e poi tramite un blog, del tennista americano 23enne Noah Rubin, dove i giocatori hanno occasione per confessarsi e parlare di temi personali, spesso seri, al di là dei loro risultati in campo. La statunitense Nicole Gibbs ha parlato, per esempio, della depressione che la attanaglia sin da quando era piccola, mentre il tedesco Dustin Brown ha spiegato le difficoltà di un ragazzino di colore ad integrarsi in un Paese occidentale come la Germania.
L’ultima “confessione” è stata quella della 25enne belga Alison Van Uytvanck, vincitrice di 5 titoli Wta e con un best-ranking alla 37esima posizione. La Uytvanck, una delle poche tenniste dichiaratamente gay, ha parlato del bullismo di cui è stata vittima da ragazzina. Qui il suo discorso integrale:
“Avevo circa 10 o 11 anni quando arrivai in treno, per la prima volta, al Centro federale del tennis belga. Capii immediatamente che l’ambiente non era quello che mi aspettavo. Fui vittima di bullismo ogni giorno da parte degli altri bambini, soprattutto maschi. Mi prendevano in giro per i miei capelli e mi facevano sentire molto triste. Non mi sono mai sentita così sola, incapace di parlare davvero ai miei genitori. Sentivo che se avessi parlato di bullismo nei miei confronti, soprattutto ai miei genitori, avrei reso loro la vita più difficile, e questa era l’ultima cosa che voleva. Dopo circa un anno di sopportazione silenziosa, ne ho parlato con i miei allenatori: loro hanno riferito il problema agli altri ragazzi e ciò è stato d’aiuto solo per un paio di giorni, poi è tornato tutto come prima. Non potevo contare su nessuno e così mi ritrovavo a piangere nella mia stanza, giorno dopo giorno. Finì quando mi cacciarono via dalla Federazone: ero spesso infortunata e i dirigenti non credevano in me e nei miglioramenti del mio tennis.
Fu il periodo più duro della mia vita, ma ha contribuito a fare di me la persona che sono oggi. C’è voluto molto tempo per superare tutto questo: la mia autostima era molto bassa e avevo smesso di credere in me stessa. Ormai pensavo avessero ragione gli altri bambini, che mi avevano ripetuto continuamente che non ero attraente, e ciò influì negativamente sulla fiducia nel mio tennis. Mi rivolsi a diversi psicologi, le prime persone con le quali ebbi la possibilità di aprirmi totalmente. Come molti sanno, feci coming out circa 3 anni fa, quando avevo 22 anni. Tutto quello che avevo passato mi diede il coraggio di aprirmi sulla mia sessualità e fortunatamente avevo una compagna, Greet Minnen, che è stata al mio fianco negli ultimi tre anni. Lei ha contribuito tantissimo alla mia crescita ed è una delle persone grazie alle quali sono felice oggi. Lei è stata una delle prime persone, al di fuori della mia famiglia, che mi ha dato fiducia e mi ha detto che ero bella così come ero, compresi i miei capelli. Finalmente mi sentivo accettata da qualcuno.
Insieme abbiamo avuto la bellissima esperienza di giocare il doppio insieme nello scorso Wimbledon. Oggi è bellissimo sapere di essere supportata da così tanta gente in tutto il mondo. Quando dichiarai la mia omosessualità ebbi un supporto positivo sui social media: ciò mi sorprese moltissimo. Ora mi sento totalmente me stessa, faccio quello che amo fare, compresa la partecipazione al Pride Day durante gli Us Open. Dopo aver passato tutte queste esperienze, mi sento di condividere la mia storia con altre persone. Io e la mia ragazza a volte ci alleniamo ancora alla Federazione e cerchiamo di parlare sempre con tanti bambini. Diciamo loro che è molto importante mostrare rispetto e che se hanno bisogno di qualsiasi forma d’aiuto e se hanno domande, noi siamo lì per rispondere. Abbiamo già aiutato alcuni ragazzi a superare ostacoli nella loro vita. Ecco perché quello che stiamo facendo merita di essere fatto. Ogni volta che mi demoralizzo, penso a quel bambini che mi hanno bullizzato, loro che venivano considerati “con più potenziale”, e ora non giocano più a tennis. Io, invece, eccomi ancora qui!”.