La scorsa settimana, se ben ricordate, ci siamo lanciati in un ardito parallelismo tra tennisti e serial killer. In linea teorica si doveva trattare del primo capitolo di una saga legata alle innumerevoli analogie tra il mondo della racchetta e quello della criminalità seriale. Gli amichevoli consigli, le velate persuasioni, le premurose intimidazioni e le benevole minacce ci hanno indotto a credere che i tempi non fossero sufficientemente maturi per completare questo ambizioso progetto. Supportati dalla nostra inguaribile codardia abbiamo deciso dunque di allontanarci dal pericolo, per setacciare un’altra sorprendente similitudine: quella tra tennisti e rock star.
Due categorie unite dalla virtuosa manualità, dal comune utilizzo di un arnese quale principale fonte di reddito (racchetta per gli uni, chitarra/basso/batteria per gli altri) e da un ego delle dimensioni di un Grizzly. Queste le più superficiali corrispondenze. Addentriamoci ora nell’inesplorata galassia dei punti in comune meno evidenti, ma altrettanto rilevanti.
Roger Federer- Paul McCartney
Non possiamo che partire dai sovrani delle rispettive comunità: da una parte il baronetto di Liverpool, dall’altra il Re di Basilea.
Affiliabili per il rinomato blasone che li connota, per il decisivo contributo apportato all’evoluzione della musica e del gioco, ed infine per la propensione ad ammogliarsi con spietate aguzzine.
Paul e Roger godono di fama intercontinentale ed imperitura, ciò permette loro di disporre di crediti che ad altri non verrano mai concessi.
Se McCartney non componesse più, come sta già accadendo da svariate decadi, un brano all’altezza del suo strabiliante repertorio, nessuno gliene farà mai una colpa, perchè è Paul McCartney. Se Federer, come sta già accadendo da svariate annate, non vincesse più un titolo del Grande Slam nessuno oserebbe ridimensionarne i meriti pregressi, perchè è Roger Federer. Riducendo il concetto alla sua essenza possiamo dire così: essendo due leggende viventi difficilmente eguagliabili, Paul McCartney e Roger Federer si sono guadagnati il diritto di fare il cazzo che gli pare.
Goran Ivanisevic- Pete Townsend (The Who)
In questo caso mettiamo a confronto due dei principali iconoclasti del ventesimo secolo. Pete sul palco e Goran sul campo mettevano in scena un’energia vitale debordante, spesso sfociante nella più distruttiva violenza.
Townsend, leader silenzioso degli Who, soleva distruggere la propria chitarra al termine di ogni concerto, come atto catartico e liberatorio, a conclusione di un’esperienza così trascendente.
Ivanisevic era avvezzo alla distruzione di una o più racchette nel corso di quasi tutte le partite che lo hanno visto impegnato. Non sappiamo quanto di catartico, liberatorio e trascendente ci fosse in queste reiterate disintegrazioni da parte del croato. Di sicuro gli rodeva il culo.
Gael Monfils- Jason Key (Jamiroquai)
Eccentrici, variopinti, tarantolati ed evanescenti: questi quattro aggettivi si attagliano alla perfezione sia allo sbirulino transalpino che al folletto britannico.
Dotati di capacità atletiche al di fuori del comune e di una naturale predisposizione all’intrattenimento, uniti da una smisurata passione per le auto svedesi e un particolare anatomico femminile: la Volvo e la Vulva.
Entrambi amano ornamentare le proprie teste: Jason con buffi e pittoreschi copricapi, Gael con capigliature multiformi.
Le rispettive parabole professionali sembrano procedere dello stesso inesorabile passo. Dopo un esordio radioso, grondante di ambizioni ed aspettative, i due si sono progressivamente ripiegati su se stessi, facendosi bastare il ruolo di marginali macchiette che, per pigrizia e mancanza di intelletto, si sono colpevolmente ritagliati.
Novak Djokovic- David Bowie
Il comune denomitatore tra Bowie e Djokovic ha a che fare con quella particolare capacità di mutare, rinnovarsi e stravolgere se stessi, anche a costo di smarrire la propria identità. In una parola, trasformismo.
David e Novak hanno improntato le rispettive esistenze sulla continua e spasmodica ricerca dell’altro da se, finendo per accettare quella che sembra essere la loro inappellabile natura.
Bowie è stato la rockstar più camaleontica della storia della musica. Il duca bianco ha attraversato incalcolabili metamorfosi, vestendo con immutata credibilità i panni di Hippy, quelli di pirata e arlecchino elettrico , fino a far culminare la proprie inesauribili mutazioni impersonificando un vero e proprio alter ego, il celeberrimo “Ziggy Stardust”.
Ora Bowie veste semplicemente i propri panni: quelli di un imbolsito pensionato britannico, cui rendere infinita gratitudine per le gemme senza tempo elargiteci.
Nel tennis in pochi si sono dimostrati così versatili e mutevoli quanto Novak Djokovic. Il serbo si è fatto conoscere come infaticabile giullare, in grado di canzonare gran parte dei colleghi con imitazioni a dir poco chirurgiche.
Superata questa prima istrionica fase, anche grazie alle sollecitazioni minatorie dei rivali più suscettibili, Novak ha radicalmente cambiato pelle, passando dal ruolo di guascone a quello di carogna.
Nole per alcuni mesi mise in scena alcune indecorose sceneggiate, rendendosi a più riprese protagonista di ritiri strategici quando aveva la certezza di non poter più vincere un incontro. Nel corso delle successive annate la poliedricità di Nole non si è arrestata. Il numero 1 del mondo ha instancabilmente interpretato i ruoli di: asmatico, iracondo, pacififista, vulnerabile, onnipotente, filosofo e gerarca. Al momento Djokovic pare aver trovato la definitiva collocazione nelle vesti di padre, marito, salutista e collezionista di vassoi parigini.