Gli spettatori di una partita di tennis sono abituati a vederlo lì, silenzioso, solitario sulla sua sedia mentre tiene e chiama il punteggio, coadiuvato dai giudici di linea. Non può concedersi pause, né cali di concentrazione al pari dei due giocatori in campo. Il giudice di sedia può passare quasi inosservato oppure può diventare una celebrità contribuendo a rendere spettacolare una partita.
PERSONALITA’ ED AUTOREVOLEZZA – Ma qual è la strada da intraprendere per diventare giudice di sedia, chi sono e cosa hanno fatto quegli uomini e quelle donne per arrivare ad arbitrare campioni come Borg, Federer, Serena Williams o Steffi Graff? Cominciamo dalle basi, quali sono le caratteristiche che deve avere un grande giudice di sedia? Quasi tutti i giudici o arbitri più famosi sono concordi nel dire che non possono mancare personalità e autorevolezza; questo perché un arbitro, nel tennis come nella grande maggioranza degli sport, deve decidere rapidamente e senza farsi influenzare, né dal pubblico né dagli atleti, deve saper gestire al meglio e senza intoppi eventuali proteste e soprattutto, deve sapere che la sua decisione porterà ad un punto di svolta nella partita. Bisogna avere la personalità giusta per potersi rapportare con grandissimi campioni e soprattutto, bisogna conoscere a menadito il regolamento. “Sostanzialmente si tratta di prendere la decisione che riteniamo più giusta” ha detto Carlos Ramos, istruttore e celebre giudice di sedia. Ultimamente la tecnologia si è rivelata una grande alleata, correndo in auto nelle situazioni più dubbie, sollevandoli in un certo senso, da una parte di responsabilità. L’hawk-eye (o occhio di falco) ha semplificato un po’ le cose, come forse la moviola nel calcio. D’altra parte, è sempre meglio evitare di commettere errori, specie in momenti di particolare tensione. In ogni caso, il ruolo del giudice, tecnologia o non, rimane il più delicato.
COME DIVENTARE ARBITRI – Diventare un giudice di sedia ai massimi livelli, può richiedere fino a un decennio. Il primo passo è la frequentazione di un corso, le cui iscrizioni sono consentite a tutti coloro che hanno compiuto il 16 anni di età. La durata è di 6 lezioni di 2 ore circa ciascuna. Superati gli esami di fine corso, si diventa allievo arbitro e si inizia il tirocinio, nel quale l’allievo viene osservato fino a quando non si ritiene sia adatto all’arbitraggio. Terminata questa fase, si ottiene la qualifica di Arbitro Nazionale, con la quale si può dirigere un incontro sia nelle competizioni individuali che in quelle a squadre. Durante i corsi, gli istruttori valutano capacità e conoscenze degli studenti chiedendo loro di analizzare situazioni complicate, spesso già accadute in passato. Per la carriera internazionale bisogna frequentare i corsi dell’ITF, passare il relativo esame e diventare White Badge Referee (il primo dei quattro livelli degli arbitri internazionali) cui seguono bronze, silver e infine golden badge (quest’ultimo raggiunto solo dai migliori arbitri al mondo). La gerarchia è rigida ed è sempre supervisionata; i progressi dipendono dalle valutazioni di altri funzionari e dalle autorità del gioco: l’ITF, l’Associazione dei giocatori di tennis e l’Associazione di tennis femminile.
ALCUNI ESEMPI ILLUSTRI – Il percorso è senza dubbio lungo e impegnativo tuttavia, per quanto la preparazione possa essere impeccabile, la pratica, si sa, è sempre un’altra cosa. Per diventare i prossimi Mohamed Lahyani, golden badge nel 1997 e giudice della partita più lunga nella storia del tennis, o Eva Asderaki-Moore, prima donna nel 2015 ad arbitrare la finale degli US Open maschili, la preparazione da sola non basta, serve personalità. È facile per noi spettatori pensare che siano arroganti; stando seduti lassù chiaramente guardano dall’alto in basso e non è un buon punto di partenza per iniziare una discussione, specie se si ha a che fare con personalità come John Mcenroe, Ilie Nastase o il nostro Fabio Fognini. Per questo motivo, il rapporto con i giocatori deve essere improntato su cordialità, fiducia e stima reciproca, ma senza eccessi.
ARBITRO DA RECORD – Chi arbitra non può permettersi distrazioni, nervosismi o incertezze, dal suo lavoro dipendono le sorti di altre persone e la tensione spesso mascherata ad opera d’arte, è più che comprensibile. La resistenza dei giocatori è anche la resistenza dell’arbitro, che deve essere attento dal primo all’ultimo colpo, in qualsiasi circostanza. Proprio a Wimbledon, nel 2010, Mohamed Lahyani fu protagonista di una pagina di storia, arbitrando la partita più lunga di sempre (undici ore in totale e sette consecutive di arbitraggio) tra Isner e Mahut; durante quelle undici ore Lahyani non chiese mai neanche un toilet-break. Gli arbitri fanno questo e molto altro, lasciano cadere insulti e provocazioni e con questi anche tensione e nervosismo; il tutto, per garantire la correttezza, il candore e la nitidezza che siamo abituati a vedere sui campi di tutto il mondo. L’eleganza del tennis è data, forse, anche da loro.