Il re è Djokovic: ma c’è un erede?

Non si è ancora spenta l’eco della vittoria di Nole Djokovic all’US Open 2015, la decima in una Slam, che viene voglia di farsi una domanda.
Ma chi ci sarà “dopo”? Chi giocherà le finali dei grandi tornei stabilmente, chi occuperà i primi posti della classifica? Non si tratta di predizione, ma di analisi.

Insomma, a parte la piacevole eccezione rappresentata da Stan Wawrinka, che sta spodestando Rafa Nadal e Andy Murray nel ruolo di terzo incomodo tra Roger Federer e il n. 1 Djokovic, restano Juan Martin Del Potro e Marin Cilic ad aver infastidito gli ultimi anni di dominio dei succitati. E quindi la domanda circa la successione è lecita? Insomma, ci sono ricambi degni di questi nomi così blasonati?

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Non giriamoci attorno. Probabilmente no. Almeno non nell’immediato. Intanto chiariamo subito il contesto: cosa ci dovremo aspettare per i prossimi 5 anni, quando Federer non arriverà più in fondo e anche Wawrinka e Nadal, Djokovic e Murray, perderanno colpi? Del resto qualche tentativo di successione, o meglio, qualche annuncio in questi anni è arrivato: un nome su tutti, Richard Gasquet, ma sappiamo tutti come è andata a finire, il francese si è scontrato col muro di gomma dei Fab4, rimbalzando parecchio lontano, anche se i risultati di questo 2015, soprattutto a livello Slam sono per lui confortanti, ma non impensieriscono nessuno dei grandi là in alto.

Lo scenario che ci pare più probabile è quello di un folto gruppo di giocatori in grado di competere a livello Slam e Master 1000, un po’ come, per intenderci, è accaduto negli anni ’90, quando non era possibile parlare di un vero e proprio dominio da parte degli statunitensi Sampras, Agassi, Courier, che hanno convissuto con Muster, Rafter, Ivanisevic, Kafelnikov, Krajcek, e poi Safin e via via verso il regno di Federer. Non si vede, infatti, alcun dominatore consacrato, alcun tennista predestinato chiaramente ad imporre il suo tennis sugli altri, né per tecnica, né per talento, forse per personalità.

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Fuori i nomi dunque. Intanto l’Australia, che deve rinverdire la sua tradizione storica, con Thanasi Kokkinakis e Nick Kyrgios. Questi giocatori, soprattutto il secondo, hanno già dimostrato di avere il livello per competere con i migliori, ma manca qualcosa, ovviamente, in termini di tigna, di concretezza e, va da sé, esperienza. Il Canada, che offre Milos Raonic che è già da tempo un top 10 cui però pare difficile togliere l’etichetta di grande servitore, nonostante un enorme lavoro di Riccardo Piatti e del suo team sul tallone d’Achille della mobilità. Il talento di Borna Coric, in costante crescita, sebbene serva qualcosa in termini di potenza per andare ad impensierire i piani alti della classifica. E poi l’Austria di Dominique Thiem, che sembra il più attrezzato sia fisicamente che tecnicamente a dare l’assalto ai piani alti nei prossimi anni. In attesa di capire se la Russia di Andrei Rublev e la Germania di Alexander Zverev fanno sul serio.

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E l’Italia? I nostri prospetti più giovani si affacciano molto timidamente tra i top 200. Possiamo fare solo i nomi di Matteo Donati e Marco Cecchinato, che sta cercando di mettere radici nella top 100. Poi nulla. Gianluigi Quinzi ha passato due anni invischiato in cambi di allenatore mensili, mancanza di programmazione, qualche acuto nei futures, qualche bel match, e un atteggiamento da principe ereditario che attende la consegna del regno. Ora pare di intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel, dopo i futures disputati in Olanda e con questi in Canada in arrivo. Speriamo si concretizzi qualcosa dunque, nel gruppone che vede anche Stefano Napolitano, Gianluca Mager, Lorenzo Giustino, tra gli altri, sgomitare nelle retrovie. Curioso, infine, che dalla Spagna arrivi ben poco, o quasi nulla, a meno di attendersi qualcosa di importante dall’acerbo Jaume Munar.

Nel frattempo però la successione tanto invocata pare non arrivare mai, e non è detto che sia un male per il tennis, perché difficilmente questa generazione di fenomeni tornerà nel breve periodo.

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