È già passata quasi una settimana da quando Federer, esiliato sul Campo 1 di Wimbledon dopo più di tre anni consecutivi sul mitico Centre Court, è stato eliminato dallo slam londinese per mano di Kevin Anderson. Ed è superfluo sottolineare come, neanche il tempo per Roger di uscire dal campo di gioco, il vespaio di commenti si fosse già scatenato, con i soliti “de profundis” sul suo dominio contrapposti alle rassicurazioni dei sostenitori. Niente di nuovo d’altronde. Quel che è certo però, è che ad oggi sono ancora in molti – tra tifosi, esperti e giornalisti – a discutere di quella prestazione, non riuscendo a trovare una spiegazione logica per giustificare quello che è accaduto.
Ciò che si può dire senza paura di poter essere smentiti, è che il livello di tennis prodotto da Federer dopo la vittoria degli Australian Open non è neanche lontanamente comparabile a quello dello scorso anno. Come anche Marc Rosset, suo amico e connazionale, ha voluto evidenziare, nel 2017 Roger era molto più aggressivo. “L’anno scorso vedevo in Roger una certa aggressività, tante motivazioni per vincere ogni match e l’euforia di tornare ad alti livelli dopo annate in chiaroscuro. Credo che un giocatore come lui non possa attendere sempre l’errore dell’avversario, come accaduto con Anderson pochi giorni fa“, ha osservato lo svizzero. Ed è vero, soprattutto dalla fine del secondo set in poi, Federer è sembrato svuotato, meno propositivo e più incerto del solito, soprattutto con i suoi colpi forti.
Che questa sconfitta sia dunque un semplice incidente di percorso o un campanello d’allarme da prendere in seria considerazione?
Per il momento ritengo che l’ago della bilancia penda di più verso la prima ipotesi, con il pensiero che possa essere stata determinante un’errata valutazione dal punto di vista della pianificazione calendario. Dopo aver giocato un ottimo torneo a Stoccarda, è probabile che Federer avrebbe rinunciato volentieri ad Halle, dove però, si sa, è legato da un contratto a vita. Col senno di poi, la decisione di prendere parte alla Mercedes Cup, vincendola e giocando dunque 9 partite in 12 giorni, si è rivelata non ottimale in vista di Wimbledon.
Certo, Roger è Roger, da lui ci attendiamo sempre il massimo, in qualunque momento ed in qualsiasi parte del mondo. Ma ricordiamoci che anche lui fra un mese spegnerà 37 candeline. Questo è un aspetto che non possiamo più fare a meno di considerare, anzi per John McEnroe, è il punto focale di tutto. “Federer è incredibile, ma credo che il tempo lo raggiungerà in un futuro non troppo lontano. È normale, è il corso degli eventi. Sarà già quest’anno?”, ha commentato l’americano.
Non la pensano però così né Richard Krajicek, sicuro che “Roger possa arrivare a 23-24 slam”, né Mats Wilander, convinto che il Re abbia davanti ancora alcuni anni. “Sembra che migliori anno dopo anno, il tempo non passa mai per lui. Quando l’età aumenterà e i colpi inizieranno ad indebolirsi, sono sicuro che riuscirà a trovare altre giocate capaci di renderlo ancora competitivo. Dopo il contratto di 10 anni che ha firmato con Uniqlo penso davvero che Roger abbia programmato di giocare fino a 42 o 43 anni”, ha dichiarato lo svedese.
Stiamo parlando di numeri enormi, assurdi. Forse a volte non ce ne rendiamo neanche conto perché siamo davvero abituati troppo bene. E non parlo solo di Federer. Stiamo vivendo un’epoca del tennis che potrebbe essere irripetibile, con giocatori che combattono in campo con in bacheca 20, 17, 13 titoli slam a testa. Se pensiamo ai numeri di Sampras, considerato uno dei più grandi di sempre, e dei suoi avversari è presto fatta la proporzione.
Forse il problema vero non è la sconfitta di Roger, ma siamo noi e le nostre aspettative. Ok, ha perso ai quarti di Wimbledon con un match point a favore (e comunque stiamo parlando di quarti di finale slam, non primo turno di un 250!), ma in questo 2018 Roger Federer – a quasi 37 anni – ha avuto il migliore inizio di stagione della sua carriera, ha vinto uno slam in Australia, un ATP500 a Rotterdam, un ATP250 a Stoccarda, è arrivato in finale ad Indian Wells (dove ha avuto match point) e ad Halle, e neanche un mese fa è tornato ad essere il più vecchio numero uno della storia del tennis. In sei mesi ha fatto molto di più di quanto potranno mai fare la maggior parte dei tennisti in una carriera intera. Ciò che è accaduto nella scorsa stagione è stato un vero e proprio miracolo sportivo, non è possibile pensare che si possa ripetere tutti gli anni, e questo anche lui lo sa. D’ora in poi il suo tennis dovrà essere sempre più distillato, ma dopo vent’anni è giusto così.
Non aspettiamoci che vinca ancora tutti i tornei dominando gli avversari, ma attenzione a darlo per finito di nuovo.
Godiamoci semplicemente il suo tennis, finché ci sarà, e le sorprese non mancheranno.