BACKGROUND – Stefan Bojic è nato e cresciuto a Novi Sad, in Serbia. Ha avuto il suo primo contatto con il tennis quando si vestì da tennista per una festa in maschera, e ha iniziato a praticarlo a 6 anni, ispirato dal fratello maggiore: gli è subito piaciuto. Per i primi anni è stato assistito nel suo percorso dalla famiglia, come da tradizione in Serbia e in diversi altri paesi del mondo, poi, verso i 18 anni, è andato a studiare al college e lì ha fatto parte di una squadra di tennis. Qui ha giocato, forse, il tennis più bello della sua vita, senza pressioni, per puro divertimento. Nel frattempo ha raccolto qualche punto ATP, ma l’idea di darsi alla carriera sportiva agonistica non gli è mai sembrata praticabile, siccome sarebbero serviti un team e tanti soldi, ed è convinto di aver preso la decisione corretta.
Ci spieghi di preciso che cos’è il freestyle?
“Anche se può sembrare puramente intrattenitivo, il freestyle è principalmente un metodo di allenamento. Ho creato un programma di esercizi che possono essere d’aiuto per giocatori di livello sia basso che molto alto che si sentano un po’ “rigidi”: dedicando 15 minuti ogni volta, si può migliorare la coordinazione, il tocco e la sensibilità. Facendo il coach vedo che i ragazzini colpiscono la palla fortissimo da fondocampo, ma non la sentono molto; fare attenzione a questi dettagli è importante. Se vedi i miei video, potresti pensare che io sia nato con l’abilità per i trick, ma non è così. Se i bambini iniziassero con questo fin da piccoli, sicuramente il loro tennis ne sarebbe migliorato.”
Come hai avuto l’idea del freestyle, e come hai scoperto il tuo talento per questo?
“L’idea l’ho avuta dentro di me più o meno da sempre. Mi sono sempre chiesto se ci fosse un modo per divertirsi e migliorare con la racchetta fuori dal campo. A basket, per esempio, è facile, ma nel tennis è in genere più complicato, hai bisogno del campo, dei giocatori, del coach. Quando ho iniziato a fare acrobazie, però, non ero più bravo di chiunque iniziasse da zero; sono migliorato solo grazie alla pratica, il talento non c’entra. Quando qualcuno mi dice che un giocatore ha talento perché colpisce la palla in maniera particolarmente naturale, io rispondo che non è talento, semplicemente si è allenato molto e bene.”
Hai collaborato con la Head. Quali tennisti hai conosciuto? Cosa pensano loro di questa tua idea?
“Sì, la collaborazione con Head è stato un po’ l’inizio di tutto; a loro è piaciuta l’idea e l’abbiamo sviluppata. In affari non è mai semplice ma credo che ne sia venuto fuori qualcosa di speciale. Conosco Nole, più o meno tutti i ragazzi della Head e dei Balcani, anche Fabio Fognini e Seppi. Loro capiscono bene l’utilità del freestyle. Sarebbe bene che anche l’establishment la capisse, potrebbe perfino diventare qualcosa in cui formare istruttori; purtroppo, però, il tennis non è molto dinamico. È 20 anni indietro rispetto, per esempio, al calcio (dove cose di questo genere già esistono), perché è diverso, dietro c’è molta più tecnica, precisione, regole e poca libertà. Ma in 5 o 10 anni sono sicuro che il freestyle sarà diffuso; già oggi, viaggiando, vedo molti giocatori provarci – purtroppo se sei già molto sviluppato non puoi migliorare troppo, ma fa sempre bene. In molti pensano che sia solo un’idea balzana, ma in realtà il modo in cui i tennisti si allenano ha già subito degli upgrade in passato (pensiamo solo alla preparazione atletica e al controllo dell’alimentazione), e questo potrebbe essere il prossimo.”
Qualche domanda di attualità: cosa pensi della Next Gen? E della situazione di Djokovic e di Murray?
“I ragazzi della Next Gen sono tutti giocatori fantastici. I loro stili possono essere diversi da quelli di Roger e Rafa, che sono unici nel loro genere, ma ognuno ha uno stile unico e a me piacciono molto. Shapovalov gioca molto bene e Rublev ha un diritto notevole. Il tennis cambia continuamente grazie ai campi, alle corde, alle palle e loro avranno una parte importante in questo cambiamento. Credo che Nole e Murray torneranno sicuramente forti, e che perciò i giovani dovranno aspettare ancora un po’ il loro turno. Nadal e Federer, invece, stanno ovviamente giocando a un livello altissimo, ma non è il loro top: hanno giocato meglio in passato.”
Che progetti hai per il futuro?
“Siccome inizio a vedere che la gente li utilizza, sto lavorando su nuovi numeri. Sto anche cercando di aprire collaborazioni con i tornei ma è complicato perché hanno tutti organizzazioni diverse. Ho avuto aiuti da alcune persone ma è difficile convincerli a prenderti, perché hanno molte cose di cui occuparsi e sempre poco tempo. Andrei volentieri al Foro Italico per intrattenere il pubblico durante gli intermezzi, nel villaggio e aprire qualche workshop. Questo è il mio concept, e potrei anche lavorare con le federazioni e le accademie. Fatelo sapere a quelli di Roma!”
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