Ludmilla Samsonova era, è e resterà una giocatrice russa, perché essendo nata 19 anni fa a Olenegorsk, laddove il Circolo Polare Artico fa sentire il suo freddo più intenso e non avendo nessun genitore di nazionalità italiana, non può aspirare ad ottenere il passaporto nostrano, seppure Luda viva nel bel paese da sempre, da quando aveva appena un anno. Da Sanremo, città nella quale è cresciuta, si è trasferita a Roma per proseguire gli allenamenti nel team dei fratelli Piccari, dove come esempio da seguire c’è un’ex professionista come Karin Knapp, una delle giocatrici più sfortunate del tennis italiano, continuamente martoriata da infortuni e problemi fisici a non finire, che hanno minato una carriera che avrebbe potuto essere molto più proficua e generosa di titoli. Ludmilla, potenzialmente, è personaggio da zone alte della classifica WTA e per accorgersene basta vedere qualche scambio condotto con il dritto che viaggia a velocità supersoniche, più vicine a quelle del circuito maschile che non a quelle del femminile. Il suo ostacolo, purtroppo, si chiama discontinuità ma ora, a seguito della vittoria all’International di Saint Malo per la quale il suo team ha lavorato in maniera capillare per arginare i famosi cali di concentrazione, anche quel gap sembra notevolmente ridotto e la giovane tennista appare avviata verso una carriera tutta da scoprire. In un’intervista rilasciata al portale Live Tennis, la Samsonova ha parlato di sé, delle proprie aspettative, dei progetti futuri e dell’amore che la lega, a doppio filo, con l’Italia.
Penso che i risultati positivi che sto conseguendo siano interamente il frutto di un duro lavoro, non soltanto tecnico, tattico e fisico, ma soprattutto personale e psicologico. E’ proprio su me stessa che ho dovuto lavorare parecchio e ne sono contenta. Con le vittorie è ovvio che arrivi la fiducia, ma il punto di svolta è stato che da qualche tempo ho iniziato a pensare diversamente e, contemporaneamente, ho cominciato a percepire che potevo battere anche le avversarie più titolate. Non penso sia stato il fisico a determinare certi risultati, perché da un punto di vista atletico ero pronta anche prima a giocare a certi livelli ma, evidentemente, non ero altrettanto pronta mentalmente“. Pensi che la vicenda del passaporto ti abbia un po’ condizionata in passato e che ora tu ti senta più libera mentalmente per esprimere tutte le tue potenzialità? “Credo di sì; ora infatti sento pochissima pressione addosso per il fatto che non ho ottenuto la cittadinanza italiana e non mi aspetto nulla da parte della Federazione. So che sarà difficile rappresentare l’Italia e i suoi colori; magari un giorno verrò convocata dalla squadra russa e sarebbe fantastico, ma ci penserò quando riceverò la chiamata. Adesso voglio pensare solo al mio prossimo impegno a Pula e successivamente desidero allenarmi bene per la stagione in Australia. Continuerò a lottare per avere il passaporto italiano, ma solo perché potrebbe utile, non lo farò per il tennis.
Il sorriso e la semplicità con cui Ludmilla ha affrontato questa ed altre interviste, sono il sintomo della grande maturità e del costante impegno con cui la giovane promessa sta maturando la consapevolezza di poter fare molto bene all’interno del circuito professionistico femminile. Sembrerebbe quasi che per il Tennis Italiano la sua ascesa equivalga ad un’occasione mancata, alla possibilità infranta di aver trovato una stella che non solo giochi bene a tennis ma che sia soprattutto orgogliosa di rappresentare i colori della nazione che non l’ha vista nascere, ma crescere più di quanto non abbiano potuto i freddi ghiacciai russi. Sembra incredibile che la mancanza di un appoggio esterno e di un reddito fisso non abbiano consentito a questa fanciulla di ottenere ciò che, per ragioni oggettive, le spetterebbe di diritto. Forse quando calcherà, da protagonista assoluta, gli scenari più importanti della WTA ci si renderà conto della grande opportunità persa nel non poter annoverare un’altra campionessa all’interno del nostro, non di certo traboccante, palmares tennistico.