Dopo la scimmia nuda di cui tutti parlano, fingendosi finti ed acculturati sofisti, l’argomento che più fa discutere tra circoli e congregazioni massoniche è l’annunciata separazione tra Nadal, in recupero forzato dopo le mitologiche fatiche australiane, e lo zio Toni, figura chiave del team spagnolo che accompagna il piccolo Rafa da quando il mondo ne ha memoria. Il tutto, già sommessamente preannunciato in un’intervista rilasciata nel 2014 che molti avevano tralasciato, sarebbe dovuto ad una sempre più convinta volontà di Toni di seguire la nuova accademia a Mallorca.
Il progetto del nipote, infatti, sembra essere quello di una nefasta carriera a lungo termine, con l’obiettivo di vincere il RG fino al fatidico 2036, anno in cui le nuove leve della sua scuola saranno pronte a continuare la tradizione maiorchina umiliando l’armata dei gemelli Federer. Carlos Moya, placido e sereno come il Guru di Djokovic, ma leggermente più credibile come figura principale nello staff di un professionista, pare l’uomo giusto, tiepidamente familiare ed allo stesso tempo competente, carico di una decennale esperienza da atleta di alto livello. D’altronde, aggiungo saggiamente, “squadra che vince non si cambia, ma se non si vince mai allora qualcosa si dovrà pur fare”. Perché questo, come già detto da illustri colleghi più preparati di me, potrebbe rappresentare l’ultimo glorioso anno del marmoreo spagnolo che, per dovuto ossimoro, è al tempo stesso cristallino e labile. L’insperata e apparente rinascita getta un velo di terrore negli occhi di molti. Dopo lo stop di qualche mese e due anni di costanti sconfitte “clamorose”, c’è chi, con convinzione, affermava di essersi persino dimenticato di lui, gioendo platealmente della sua assenza per poi, dopo qualche istante, nascondere la testa nel sottosuolo come struzzo impaurito.
Dopo Miami ed Indian Wells, inizierà una nuova stagione sul rosso che, per sublime logica aristotelica, vede in Nadal il maggiore protagonista, a discapito dei gemelli serbo-scozzesi che avranno l’ingrato compito di appiattire, col classico gioco coinvolgente ed emozionante, l’intero pubblico esaltato. Come già vaticinato, lo Slam parigino sarà di Novak Djokovic.
Ma se, per strana coincidenza divina, un qualsiasi Lucas Pouille dovesse interrompere il cammino gommoso, potremmo assistere al decimo miracolo arrotato? Pongo il dilemma al saggio Mats Wilander. Vi farò sapere.