La terribile inconsistenza del vertice

Le difficoltà di Andy Murray nella stagione in corso non sembrano cessare minimamente: dopo la lezione di tennis subita da Fabio Fognini e la conclusione anticipata di un altro importante evento, è bene che lo scozzese si interroghi seriamente sulle prospettive di crescita alla ricerca di nuova linfa.

Per descrivere l’andamento della stagione 2017 di Andy Murray, fatta eccezione per la vittoria a Dubai con un tabellone a onor del vero piuttosto agevole, ci viene in soccorso il grande Rino Tommasi con la sua celebre espressione “RP”, “rottura prolungata”: sintesi migliore della sua prima metà di stagione non esiste per colui che, diventato finalmente numero 1 del ranking, avrebbe dovuto imporre il proprio dominio. Dovendo poi effettuare un cenno doveroso a Fabio Fognini, invece, parliamo di “circoletti rossi” a pioggia, sempre sulle orme dello storico telecronista: incanto e talento allo stato puro.

RISULTATI DELUDENTI – Ripercorrendo rapidamente i risultati dello scozzese, oltre alla vittoria a Dubai, la miglior soddisfazione è arrivata dalla finale a Doha ad inizio anno contro Djokovic, step che aveva fornito ben altri segnali per i mesi seguenti; più recentemente, ha raggiunto la semifinale a Barcellona perdendo da Thiem. Per il resto vi sono solo prestazioni sconcertanti o se preferite un vero e proprio disastro: quarto turno in Australia con sconfitta da Mischa Zverev, secondo turno a Miami subendo per due set contro Pospisil, terzo turno a Monte-Carlo e Madrid contro Ramos-Vinolas e Coric e da ultimo la piacevole lezione subita da Fabio Fognini al secondo turno agli Internazionali. Nella fase in cui ci si attendeva il definitivo salto di qualità, dopo la cavalcata che lo aveva condotto al vertice, le certezze di Murray si sono sgretolate come un castello di sabbia, creando un tunnel oscuro da cui il campione scozzese pare non riesca ad uscire in nessun modo.

Andy Murray con l'oro olimpico.
Andy Murray con l’oro olimpico.

FORZA MENTALE CERCASI – Eppure il momento era largamente propizio: è pur vero che un ritorno tanto importante di Roger e Rafa era impronosticabile, ma allo stesso tempo si poteva benissimo sfruttare il momentaccio di Djokovic, come ben noto in preda ad una crisi totale. Al numero 1 del mondo è invece mancata quell’ulteriore spinta per dimostrare al circuito intero di essere il dominatore assoluto e di aver largamente meritato quel traguardo; avrebbe potuto togliersi definitivamente dalle spalle quella scomoda etichetta di “pallettaro” che dai più gli viene attribuita, scacciando anche le critiche di chi non lo ritiene all’altezza degli altri tre. Federer, Nadal e Djokovic hanno saputo dare lo strappo decisivo dopo aver già imposto il proprio dominio, dimostrando una tenuta mentale fuori dal comune, macinando tornei su tornei e conquistandoli praticamente tutti. Murray, invece, nel momento più bello è crollato sotto le sue incertezze, incapace totalmente di fare affidamento su quel surplus di grinta da sfoderare in queste occasioni. Il cammino per giungere in vetta è stato lungo e faticoso, con il costante ruolo di comprimario all’ombra degli altri. Una volta giunto all’apice, però, lo scozzese ha offerto la versione più brutta del suo tennis, divenendo battibilissimo da tennisti di livello anche piuttosto discutibile (con tutto il rispetto per Pospisil).

E’ IL VERO NUMERO UNO? – A questo punto, per forza di cose, la domanda è più che lecita e la risposta non è di immediata facilità. Indubbiamente, nella seconda metà della stagione precedente, lo scozzese ha imposto un tennis più aggressivo del solito, fondato su una forma fisica eccezionale e sulla sua consueta intelligenza tattica. Da lì in poi, però, Murray è diventato un tennista a tratti inguardabile, senza soluzioni di sorta. La delusione principale risiede però soprattutto nell’aspetto mentale: nel momento più caldo della carriera, coronato dal raggiungimento della vetta del ranking, la tenuta psicologica è venuta meno. Lo scozzese avrebbe infatti dovuto guadagnare ulteriori punti proprio in questa fase, dovendo poi difendere tanto nella seconda metà di stagione. Probabilmente, allora, il britannico non è ancora pronto per raccogliere definitivamente un’eredità così pesante. E la leadership, a questo punto, è più che mai in discussione. Anche a favore di clamorose sorprese.

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