Il 2015 di Petra Kvitova può essere considerato un attendibile compendio della carriera sinusoidale della ceca. Chi ama Petra sa bene che il proprio destino di tifoso sarà contrassegnato da lunghi, lunghissimi, financo interminabili periodi di assenteismo agonistico della propria pupilla, risarciti da sporadiche quanto altisonanti soddisfazioni.
Kvitova sfugge ad ogni tipo di definizione a causa di questa sua periodica dissolvenza tennistica.Probabilmente, volendole affibiare un’etichettatura a tutti i costi, potremmo definirla come la prima tennista bisestile della storia. Ogni quattro anni, infatti, Petra si ridesta dal proprio pelandronismo, sbalordendo il microcosmo tennistico attraverso fugaci quanto memorabili sequenze di . Accadde nel 2011, quando l’allora 21enne ceca si aggiudicò con spavalda autorevolezza il titolo di Wimbledon, fugando le riserve di chi attribuì quel successo ad una fortuità combinazione astrale a pochi mesi di distanza, conquistando il Master di fine anno. All’epoca, data la prepotenza esibita dalla ceca, concomitante con il più lungo passaggio a vuoto di Serena, molti addetti ai lavori si affrettarono a nominare Petra quale nuova dominatrice del circuito WTA. Kvitova, però, per indole e attitudine ha dimostrato fin dal principio la propria inadeguatezza nel ruolo di gerarca.
Petra, al contrario della gran parte delle sue colleghe, non interpreta la propria professione come un viatico per perseguire la smania di protagonismo ed arrivismo. La ceca sa che non avrà mai bisogno di dannarsi per mantenere a tempo indeterminato un posto nell’elitè del tennis femminile. Kvitova, però, non ama il peso della pressione, delle aspettative permanenti e dei sacrifici derivanti. Per queste ragioni, a seguito dello sfarzoso 2011, Petra ha vissuto per più di un biennio ben al disotto delle proprie potenzialità, la cui mediocrità è stata solo in parte mitigata da alcune sporadiche comparsate nelle fasi finali di qualche Slam. Kvitova si è nuovamente materializzata in tutta la sua bisestilità a quattro anni esatti dal suo unico successo in un Major. Nel 2014 la mancina di Bilovec, rinverdisce i propri fasti londinesi, aggiudicandosi il secondo torneo del Grande Slam. Un’impresa che sembra finalmente preludere all’emancipazione di Petra dal proprio ruolo di lussuosa mina. Kvitova anzichè bivaccare per il resto della stagione come fece nel 2011, cavalca l’inerzia trionfale, chiudendo la stagione con un’accoppiata di Premier (Wuhan e Pechino).
L’inizio del 2015 si presenta come l’ideale prosecuzione dell’annata appena conclusasi. Petra conquista il primo titolo già nel mese di Gennaio in quel di Sidney, accrescendo a dismisura le aspettative in vista dell’Australian Open. Come da consolidata tradizione, però, Kvitova boicotta i pronostici a lei favorevoli, facendosi eliminare da Madison Keys già al terzo turno. Abbandonata l’Oceania Petra si concede un altro paio di improvvide sconfitte nei tornei di Doha e Dubai, prima di assentarsi dal circuito per ben due mesi. Kvitova motiva la strampalata scelta adducendo motivi fisici non ben precisati. Solo a posteriori emergerà il vero motivo della latitanza invernale della ceca: la mononucleosi. La malattia più in voga tra i tennisti del ventunesimo secolo ha inficiato per lunghi tratti la stagione di Petra. Oltre al folgorante successo nel Premier Mandatory di Madrid, infatti, Kvitova ha palesato una diffusa spossatezza, la cui persistenza ha negato alla ceca di esprimersi al meglio delle proprie possibilità. Negli Slam non è mai andata oltre ai quarti di finale, mentre sono appena due i titoli conseguiti nel 2015 (Madrid e New Haven).
Allo stato attuale appare assai improbabile che Petra possa prodursi in una nuova metamorfosi in quel di Singapore, trasformando la recente abulia agonistica in uno dei suoi formidabili segmenti di bullismo tennistico. La smentita, però, è pronta a farsi beffe del nostro vaticinio, perchè se c’è una cosa che abbiamo imparato di Petra è che l’unica cosa che legittimamente ci si può aspettare da lei è l’inaspettato.