Andre Agassi: Open, La mia storia

“Mi hanno chiesto spesso com’è, questa vita da tennista, e non ho trovato mai la parola giusta per descriverla. Ma adesso mi sta venendo in mente. È, soprattutto, uno straziante, eccitante, orribile, sorprendente vortice”
In uno dei libri definiti tra i più appassionanti e rivelatori della storia del tennis e non solo, il campione detentore di 8 titoli del Grande Slam Andre Agassi racconta il meglio e il peggio di se stesso, parla dell’incredibile carriera tennistica durata ben 21 anni e dei suoi peggiori rivali con cui ha dovuto misurarsi negli anni, da Jimmy Connors a Pete Sampras fino a Roger Federer. Non mancano riferimenti alla vita privata e agli aspetti più intimi della sua persona e ai matrimoni con Brooke Shields e Steffi Graf.

steee Andre Agassi e Stefanie Graf

Open ha suscitato scalpore non solo nel mondo del tennis e dello sport, ritrovandosi sotto i riflettori del mondo intero. Ha riportato alla luce gli aspetti negativi, i sacrifici e l’astio che l’atleta prova nei confronti di uno sport che odia nel profondo, ma a cui non riesce a rinunciare. In più, riporta alla luce un rapporto conflittuale e ossessivo con il padre, colui che ha forgiato il “Campione Agassi”.

Fin da bambino, Andre dovette abituarsi a fare i conti con un rivale invincibile, il Drago, una macchina lancia palle modificata appositamente dal padre. Un mostro nero, montato su grosse ruote di gomma e con la parola “prince” dipinta in bianche lettere maiuscole lungo la base. Nonostante si trattasse di una semplice macchina lancia palle, nell’immaginario del giovanissimo Agassi, il drago era una vera e propria creatura vivente uscita da uno dei suoi fumetti.

“Il drago respira, ha un cervello, una volontà, un cuore nero- e una voce terrificante. Risucchiando un’altra palla nel proprio ventre, il drago emette una serie di rumori disgustosi. Mano a mano che la pressione aumenta nella sua gola inizia a mugulare e quando la palla gli sale lentamente alla bocca urla. Per un attimo mi sembra quasi ridicolo, come la macchina delle praline che ingoia Augustus Gloop in Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato. Ma quando il drago punta dritto su di me e spara una palla a 180 chilometri all’ora, emette un ruggito da belva assetata di sangue che mi fa sobbalzare ogni volta”.

Andre Agassi a sei anni con il padre Emmanuel “Mike”.

Il padre rese intenzionalmente la macchina mostruosa, non solo per incutere rispetto e attirare l’attenzione del figlio, ma voleva che le palle arrivassero ai piedi di Andre come se venissero sganciate da un aereo. Il piccolo era costretto a colpire d’anticipo ogni palla, altrimenti le palline avrebbero rimbalzato oltre la sua testa.

Ma nemmeno questo bastava a colmare l’ossessione del padre, non era abbastanza veloce. Ripeteva che colpire  2.500 palle al giorno, avrebbe significato colpirne  17.500 alla settimana e quasi un milione in un anno. E la matematica non mente. Se un bambino colpisce un milione di palle in un anno, sarà un campione e diventerà imbattibile.

Era come se suo padre volesse farlo diventare come quel drago con cui lo costringeva a misurarsi ogni giorno. Doveva diventare il “mostro” che odiava dal profondo del cuore.

“US-il tennis come esperienza religiosa” in scena teatrale. Foto di Ilaria Scarpa da http://www.gagarin-magazine.it/ 

La macchina infernale e il rapporto tra un padre ossessivo e un figlio che vorrebbe riuscire a smettere di colpire palline ha anche dato uno spunto a una delle più sperimentate compagnie teatrali italiane, Fanny&Alexander, che ha deciso di dare vita alla messa in scena dell’incontro tra  il campione e il “drago” sparapalle su un campo da tennis. L’opera, dal titolo “US – Il tennis come esperienza religiosa”, è andato in scena per la prima volta il 17 luglio di quest’anno a Santarcangelo di Romagna.

L’ossessione del padre e la brutalità che traspare lancia però un messaggio importante da non sottovalutare ai giorni nostri.
Sognare è bello, può condurci in luoghi che forse non potremmo mai raggiungere con l’ausilio delle nostre forze. O forse, è proprio il contrario. Sognare, pensare a cosa potremmo fare, diventare o progettare, sono solo delle scusanti per non “fare”, per evitare di affrontare la realtà che siamo chiamati a vivere. Probabilmente suo padre non aveva tutti i torti, sognare ad occhi aperti è causa di ogni male, ma proprio come Agassi si domandava da bambino, come si fa a smettere di pensare?
Con lo scorrere delle pagine il lettore diventerà “succube” della storia, continuerà a porsi domande a cui nemmeno la fine del libro potrà dare risposte. È giusto definirlo un capolavoro, ma certi passaggi possono apparire troppo romanzati.

Probabilmente, per Agassi queste pagine rappresentano uno sfogo con se stesso e contro tutto ciò che il sentimento per il tennis lo ha portato a diventare. In bilico tra odio e amore per uno sport diabolico come il tennis, con i capelli ossigenati, l’orecchino e una tenuta punk piuttosto che da tennista, Agassi è una delle personalità più complicate da inquadrare e una di quelle che ha letteralmente sconvolto il mondo del tennis.

Potremmo definirlo la moderna reincarnazione di Giacomo Leopardi, colui che fu perennemente alla ricerca di quella che comunemente definiamo “felicità”, che trascorse la mera esistenza a porsi domande sulla reale esistenza di quest’ultima e su come riuscire ad assaporarla anche se solo per un istante.

A pochi mesi dall’uscita del libro nel 2011, il successo fu immediato e sul sito www.einaudi.it sono riportati alcuni commenti pubblicati in rete e sui giornali, che riproponiamo qui sotto come spunto per coloro che si appresteranno ad affrontarne la lettura:

Alessandro Piperno (Corriere della Sera) “Il problema con i libri che ami è che non smetteresti mai di citarli. Per farvi capire quando Open mi sia piaciuto avrei la tentazione di fare un gigantesco copia/incolla. Ma credo sia più pratico limitarmi a consigliarvene l’acquisto. È raro imbattersi in un così stimolante compendio di personaggi e situazioni. <...> Eppure la cosa che più mi ha colpito in questo libro è la smania del suo autore-protagonista di decifrare il mistero inattingibile dell’umana insoddisfazione. Come ogni libro americano che si rispetti è un’opera sulla caduta e sulla redenzione. Ma, a ben vedere, non è questo il dato più significativo. Ciò che Agassi sa raccontare meglio è il senso di tedio e gratuità che non smette di assediarci. E che, paradossalmente, rende amare sia le vittorie sia le sconfitte”.

Francesco Longo (il Riformista) “La biografia di Agassi è la rivelazione di un’anima. Le 500 pagine descrivono una parabola più simile a quella disegnata da San Giovanni della Croce, che non a quelle che lampeggiano nei memoir delle celebrity. Open è un romanzo di formazione impossibile, perché racconta la crescita di un’identità negli anni in cui la società dei disvalori negava la possibilità di un progresso interiore, abbagliando i giovani con promesse di felicità scadenti, e con quei trofei luccicanti che, in un giorno d’ira, Agassi distruggerà nella sua casa di las Vegas. È proprio spinto dal desiderio di liberarsi del «vuoto» che Agassi decide di rivedere la sua vita, scrivendo questa biografia vertiginosa, appassionante e in molti punti commovente. <...> Open è una grande epopea dal sapore letterario. Un’avventura nella coscienza, che sonda e tocca le corde più profonde dell’intimità. Per ora è il miglior libro del 2011”.

Alessandro Baricco – la Repubblica “Un Agassi che non ti saresti mai aspettato e che non smette un attimo di parlare. Se parti, non scendi più fino all’ultima pagina. Roba che i famigliari protestano e sul lavoro non combini più un granché.
In genere, quando un libro riesce a ottenere un simile risultato contiene una di queste quattro domande: chi è l’assassino? Il protagonista troverà se stesso? Ma alla fine si sposeranno? Chi dei due vincerà? Open ne contiene tre su quattro, e le intreccia molto bene: le possibilità di sottrarsi alla trappola sono pari a zero. <...> Adesso che sono stato ad ascoltarlo, so che Agassi ha vissuto come giocava a tennis, cioè con i piedi ben dentro al campo, ad aggredire la pallina mentre sale (tutti buoni a prenderla mentre scende), immaginando tutto a una velocità irragionevole, e collezionando sciocchezze mostruose e invenzioni sublimi. Intanto che faceva tutto questo, cercava un senso alla sua vita. <...> Pallina dopo pallina, volano le domande e le risposte sulla vita, schizzano sul cemento dei pensieri, e alla fine quella a cui assisti è un’unica, grande, affascinante partita giocata da un ragazzo contro il buco nero che si porta dentro: che poi è la stessa partita che giochiamo tutti, lo si voglia o no. Ne ho letto infiniti resoconti, e quello di Agassi ha una sua elementare bellezza sintetica che vale più di mille centrini letterari.”

In fondo, ripensando a come Agassi ha definito la vita da tennista, verrebbe da chiedersi se in realtà non abbia semplicemente definito la vita stessa e tutto ciò che essa comporta.

Fonte: Andre Agassi – Open, la mia storia. 2011, Giulio Einaudi editore s.p.a, Torino.

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