Ciò che più impressionava di quella bambina era l’impegno, la dedizione che ci metteva. Un’ostinazione condita da un pizzico di sana cattiveria, una caparbietà che rasentava l’accanimento. Anastasia Myskina arriva allo Spartak Mosca quando ha appena sei anni. Rauza Islanova, moglie del presidente del Circolo Mikhail Safin, nonché madre dei futuri numero uno del mondo Marat e Dinara, rimane impressionata sin da subito dalla piccola Anastasia: sorprendentemente tonica e instancabile nella sua magrezza. Qualsiasi cosa le si chieda di fare in campo, sia un birillo da colpire, siano un tot di palline consecutive da direzionare in una determinata porzione del rettangolo di gioco, finché non riesce nell’intento, non c’è verso di schiodarla dalla riga di fondo. Così diversa dalla sua coetanea Anna Kournikova, più talentuosa certo, ma non altrettanto perseverante, priva di quel killer instict che invece sembra possedere Anastasia. Per questo la Islanova non ha dubbi: quella che arriverà per davvero sarà Nastya. Il duro lavoro tutto può. Dacci e ridacci, già ad otto anni le sue palline escono pulite dal piatto corde. La cosa che più lascia ben sperare però è la “tigna agonistica”: ha già una schiera di obiettivi in mente, ha già scelto chi deve essere la sua rivale. Dopo essere stata rifiutata al CSKA è infatti entrata nel gruppo una bambina silenziosa, pure lei classe 1981, bionda, alta, il fisico altrettanto slanciato, dotata di una determinazione incrollabile: Elena Dementieva. “Le loro partite di allenamento erano un susseguirsi di lanci di racchette per Anastasia e di sguardi di sfida di Elena. Ad ogni palla vicino alla riga Anastasia accusava Elena di barare ed Elena si lamentava che era Anastasia ad essere scorretta”; ha raccontato molti anni dopo Rauza Islanova. Rivali certamente, ma anche sufficientemente amiche da mettere in palio ““un kebureki” (una sorta di pizza russa). Chi perdeva doveva offrirlo all’altra. Era il 1989. Quindici anni dopo quelle due bambine, “così diverse, eppure così simili” sarebbero passate alla storia come le prime due giocatrici russe a sfidarsi in una finale del Grande Slam.
Nonostante la tenacia e le ottime basi, il cammino intrapreso da Anastasia per rendere possibile lo storico 5 giugno 2004 è stato però quanto mai impervio e disseminato di ostacoli. L’espatrio di Rauza Islanova in Spagna a fine 1993, il timore di seguirla, di gettarsi nel mondo appena dodicenne, l’assunzione di un coach privato, Svitoslav Mirza, una serie di piccoli acciacchi che iniziano a perseguitarla sin da quando ha quindici anni; hanno reso la Myskina una giocatrice ancora più risoluta, più coriacea. Il primo titolo ITF arriva nell’ottobre del 1997 in Georgia, nel torneo da 10.000$ di Batumi, quando sconfigge in finale la sua amica-nemica Elena Dementieva dopo una battaglia di tre ore e quaranta minuti con il punteggio di 6-7 6-4 7-5. L’anno dopo vince il 10.0000 a Tallin, mentre raggiunge la finale nel 50.000$ di Sochi dove viene sconfitta dalla colombiana Fabiola Zaluaga, nel 25.000$ di Batumi e nel 10.000$ di Beograd. A dicembre è la n°293 del mondo. Il vero salto di qualità avviene nel 1999: ha inizio in Italia, in quello che si rivelerà essere il mese a lei più caro, giugno. Anastasia supera le qualificazioni al 25.000$ di Goriziae, battuta Flora Perfetti al primo round si apre la strada per la finale dove abbatte 6-1 6-3 la spagnola Angeles Montolio. La settimana dopo si presenta al 25.000$ Orbetello dove batte Francesca Schiavone prima di cedere in finale a Laura Dell’Angelo. Tempo un mese e, al primo turno di qualificazione del torneo WTA di Palermo, concede alla Dell’Angelo cinque dei dodici game lasciati per strada prima di accedere al main draw. Superata in semifinale la connazionale Elena Dementieva, nel match decisivo non le resta che confermarsi su Angeles Montolio. Il secondo turno agguantato agli US Open, i successi sulle top 30 Chada Rubin alla Kremlin Cup e su Sarah Pitkowski-Malcor a Kuala Lampur fanno il resto: a fine anno la classifica la posiziona al n°65.
Con l’alzarsi della posta in gioco la Myskina smarrisce un po’ di confidenza con la vittoria, tanto che, per ritrovare una certa continuità di risultati deve affidarsi alla stagione su erba. Passate le qualificazioni a Eastbourne, ha poi la meglio su Amy Frazier prima di arrendersi alla futura finalista Natalie Tauziat, mentre a Wimbledon una bella vittoria su Kim Clijsters le permette di accedere al terzo round. Un nuovo periodo di annebbiamento viene soffiato via dai quarti di Zurigo; immancabile la vittoria su Elena Dementieva, (che a settembre era diventata la prima russa a raggiungere la semifinale agli US Open), prima di cedere a Martina Hingis. Ancora più complesso si rivela il 2001, alleviato giusto dai quarti di Lipsia e la semifinale di Mosca, dove stavolta è costretta a lasciar via libera alla Dementieva, che l’annienterò con un netto 6-4 6-2 anche agli Australian Open 2002. La situazione migliora grazie ai quarti di finale di Doha, Dubai, Charleston e Roma, finché sull’erba di Birminigham e di Eastbourne riesce a sorprendere tutto e tutti, tranne Jelena Dokic e Chanda Rubin che le negano l’alloro. Seppure continua a ciccare gli Slam, a settembre Anastasia riesce a riporre in bacheca il suo secondo titolo a Bahia, mentre a Lipsia si arrende in finale a Serena Williams.
Una continuità che le garantisce di concludere la stagione a ridosso della top ten. Un’iniezione di fiducia che la lancia nel 2003 verso i quarti agli Australian Open, gli ottavi di Wimbledon ed i quarti agli US Open, dove si vede esporre il cartellino rosso rispettivamente da Clijsters, Capriati ed Henin. Curiosamente lo Slam dove proprio non ingrana è il Roland Garros, sgambettata impunemente al secondo turno dalla n°75 del mondo Petra Mandula. Protagonista di ben cinque finali, recita il ruolo di prima attrice a Doha dove supera Elena Likhovtseva, a Sarasota dove prevale su Alicia Molik, a Lipsia dove sfianca Justine Henin e a Mosca dove respinge Amelie Mauresmo; mentre è proprio la francese a zittire la russa nella finale di Philadelphia. Da numero 7 del mondo, Anastasia conferma tanto i quarti Australian Open, dove nuovamente nulla può contro Kim Clijsters, quanto il successo di Doha. Ben altra musica rispetto all’anno prima: ora deve scrollarsi di dosso la Likhovtseva al primo turno, mentre in finale ha l’onere di “spagnoccare” la diciottenne, connazionale, Svetlana Kuznetsova. Finché la semifinale ad Indian Wells precede la solita, arrancante, stagione su terra rossa.
Al Roland Garros 2004 Anastasia Myskina si presenta come sesta testa di serie e sin dal primo round soffre l’indicibile contro l’erbivora Molik prima di siglare un 4-6 6-3 6-4 che la proietta al secondo round dove sconfigge 6-0 6-4 Barbora Zahlavova Strycova. Al terzo turno è in affanno con la n°70 del mondo Denisa Chiadkova, che supera per 6-3 7-6. Agli ottavi nemmeno di affanno si può parlare: opposta a Svetlana Kuznetsova dopo 26 minuti ha perso il primo set per 6-1. Nastya ha i nervi a fiori di pelle: in tribuna il suo allenatore ed ex fidanzato Jens Gerlach è pietrificato e le rare espressioni che trapelano dal suo volto sembrano dire: “se questa gioca così, c’è poco da fare”. In tribuna c’è pure Elena Dementieva, e Nastya lo sente, non è lei quella che l’ex compagna di allenamenti vorrebbe andasse avanti. In un misto di rabbia e frustrazione Anastasia si intasca il secondo parziale ma, come da copione, nella manche decisiva arriva il match point per la Kuznetsova. Come da prassi, quello scrigno di genio e sregolatezza, lo sperpera. A qualificarsi per i quarti di finale è Anstasia Myskina che, consapevole di essere sopravvissuta ad un match che “non ho mai capito come ho fatto a vincere”, soffia via Venus Williams per 6-3 6-4 ed in semifinale piega con un doppio 6-2 Jennifer Capriati. Anni dopo Anastasia dirà: “Nel momento in cui ho battuto Svetlana è come se dentro di me una voce mi avesse detto che avrei vinto il Roland Garros. Non so spiegarlo, semplicemente lo sapevo”. Un auspicio interiore che sembra affondare le sue radici nella tragedia greca e che rende in pieno il dramma che stava per compiersi.
Il 5 giungo 2004 sul Philippe Chatrier scende in campo la prima finale “tutta russa” della storia del tennis: AnastasiaMyskina vs Elena Dementieva. Nel 1974, sia al Roland Garros che a Wimbleon, Olga Morozova venne liquidata da Chris Evert, nel 1989, sempre a Parigi, Natalia Zvereva venne schiacciata da Steffi Graf. La finale dei French Open 2004 è qualcosa di diverso: Elena e Anastasia non si contendono semplicemente l’incisione del proprio nome sul trofeo Lenglen, no, la loro è l’ennesima sfida tra due ex bambine cresciute nello stesso Circolo Tennis forse sinistramente consapevoli che quel giorno si sarebbe consumato il momento più importante della loro vita sportiva. Elena Dementieva ottiene il break in apertura ma, svoltato campo, commette tre doppi falli consecutivi. E’ forse qui che Anastasia Myskina avverte che la sua amica-nemica è ferita, ne fiuta il sangue: è la testa, è quella mente fragile popolata da fantasmi. Pure Anastasia è tesa, ma lei non è così. Lei è quella che si arrabbia, che rompe racchette, lei è quella che salva i match point e che sa, sente, che quello è il suo momento, il suo Roland Garros. Ed è 6-1 6-2 in 56 minuti.
Il trionfo al Roland Garros, seguito dalla finale a San Diego, le semifinali alle Olimpiadi, a Montreal e al Master, oltre alla preziosissima vittoria ottenuta a Mosca, dove nuovamente batte Elena Dementieva per 7-5 6-0, issano Anastasia Myskina a n°2 del mondo. Una delle massime gioia per Nastya è però l’aver contribuito a regalare alla Russia la Fed Cup nel 2004, impresa in cui svolge un ruolo determinante anche l’anno dopo. Cosa accada di preciso negli anni a venire fa parte di quella che gli Dei del tennis potrebbero chiamare compensazione o semplicemente perdita progressiva di stimoli. Di certo, una costellazione di piccoli quanto noiosi infortuni, non hanno agevolato la russa, bisognosa com’era di essere sempre supportata da una condizione atletica ideale. Fatto sta che Anastasia ha appena ventiquattro anni, ma le cose iniziano a girarle male, sempre peggio. Nei due anni successivi disputa cinque finali, ma mette tutte in riga solo nel piccolo international di Kolkata, in India, nel 2005. Nello stesso anno perde invece a Stoccolma contro Katarina Srebotnik, mentre nel 2006 viene sconfitta Shahar Peer a Istanbul, da Justine Henin a Eastbourne e da Jie Zheng nella capitale svedese. Seppure diventa la prima campionessa in carica di uno Slam ad essere depennata l’anno dopo al primo turno, (record poi eguagliato agli US Open dalla Kuznetsova) la Myskina azzanna diversi ottimi piazzamenti: a partire dai quarti di Wimbledon nel 2005 dove, per arrivarci, infligge l’ennesimo dolore alla Dementieva rimontandola da 1-6 0-3 e annullandole due match point al tie break, prima di vincere 7-5 al terzo. In questo caso però la superstite Myskina non sente nessuna voce che le suggerisce la vittoria. Quarti di finale a cui nel 2006 si riaffaccia nello Slam londinese e che ottiene anche a Miami. Poi, dall’agosto 2006, persa la finale di Stoccolma, tutto si srotola, ogni cosaprecipita. Anastasia perde al primo turno a Montreal, a New Haven, agli Us Open e a Zurigo. Dopo due anni, da n°2 del mondo il computer la rilega a n°16.
Nel 2007 è ai nastri di partenza ad Auckland, ma quel che rimedia è un altro primo turno. Si prende una pausa di sei mesi. Tre anni dopo aver alzato al cielo il trofeo, Anastasia decide di riprendere la sua marcia dal Roland Garros. Eppure, tre anni dopo, il suo nome non mette più paura. Il suo tennis non fa più paura. La sua palla è sgonfia, il suo sguardo è spento, rassegnato. E’ la numero 51 del mondo e al primo turno racimola un solo game contro la n°61, Meghan Shaughnessy. Destino vuole che il turno dopo la yankee sarebbe stata triturata da Svetlana Kuznetsova. Per una tennista che ha fatto della concretezza, della risolutezza, le sue armi più temibili, per una donna pratica eppure allo stesso tempo incline nel “cogliere i segnali”, non è da escludere che tra le pieghe di quel soleggiato 29 maggio 2007 abbia intravisto l’ultimo capitolo di una parabola cominciata vent’anni prima, in una Mosca grigia alla disperata ricerca di una giocatrice capace di portare finalmente in Patria uno slam. Nel futuro di Nastya ci sarebbe stata tanta gavetta come coach di Fed Cup sfociata con la panchina di capitano; un nuovo capitolo che a novembre la rivedrà protagonista di un’altra finale di Fed Cup. A riprova di come Anastasia abbia ancora molto da dare al tennis, a come il cerchio sia ancora aperto.