Il suo, per molti, è stato tra i rovesci migliori del circuito. Grinta, gambe e determinazione, uniti al talento indiscutibile, gli hanno permesso di imporsi sulla scena del tennis mondiale e di salire fino al secondo posto del ranking.
Era la metà degli anni Novanta, un periodo straordinario per il tennis maschile. C’era la classe di Pete Sampras, l’esuberanza di Andre Agassi, Kafelnikov, il talento di Rios, la locomotiva Muster. E poi c’era l’armata spagnola. C’era Carlos Moya, Berasategui, Ferrer e gli altri.
Poi c’era lui: Alex Corretja, nel febbraio del 1999 numero due della classifica mondiale, nel 2000 trionfatore in Coppa Davis con quella stessa armata spagnola che ha segnato un decennio di tennis. Pochi anni prima dell’esplosione di Nadal.
Corretja è nato 42 anni fa, a Barcellona. Nel suo Palmarès diciassette titoli vinti: il primo, a vent’anni, sulla terra di Buenos Aires. Poi un Master, nel 1998, battendo in finale il connazionale Moya (al termine di una maratona di cinque set su una superficie veloce, per due che hanno sempre prediletto la terra). Senza contare due finale sfumate al Roland Garros: una proprio contro il maiorchino Moya (1998), l’altra contro il brasiliano Gustavo Kuerten (2001).
Proprio nell’edizione 1998 dello Slam parigino, Correjta ha stabilito due record: il match più lungo della storia del torneo, al terzo turno contro l’argentino Gumy (5 ore e 31 minuti di match), e l’incontro probabilmente più corretto di tutti i tempi, proprio la finale contro Moya: in più occasioni il giocatore di Barcellona si è sostituito all’arbitro per correggere le decisioni su punti dubbi e restituirli all’avversario. Un esempio, appunto, di correttezza e lealtà sportiva, a cui, non ha seguito, però, il successo che avrebbe probabilmente meritato per scrivere la degna parola fine a questa bella pagina di sport.
Alex Corretja era un terraiolo, si diceva, capace di imporsi anche sulle superfici veloci, in occasione del Master nel novembre 1998 si giocò ad Hannover – e a Dubai nove mesi prima. Per grande corsa, grandi rotazioni e nervi d’acciaio, che lo hanno portato a chiudere la carriera professionistica a 30 anni e a sedere, qualche anno più tardi, anche sulla panchina su quella squadra di Davis che portò al trionfo per la prima volta. Un esempio di tecnica e personalità, uno sportivo in tutti i sensi. Auguri Mister Fair play.
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